Il presidente addomestica i repubblicani e incassa il “Beautiful Bill” pieno di debiti. Attacco al capo della Fed: «Tiene l’economia sotto ostaggio, si dimetta subito»
Donald Trump ha addomesticato la resistenza della fronda repubblicana e ha aperto la strada al “One Big Beautiful Bill Act” (Obbb), la maxi manovra che fra riduzione delle tasse, enormi incrementi di spesa per attività anti immigrazione e tagli alla sanità farà oltre 3mila miliardi di debito. La legge innalza automaticamente anche il tetto del debito, rendendo così inutile la misura autoimposta che dovrebbe essere un incentivo alla responsabilità fiscale.
Un gruppo di repubblicani inorriditi dall’incremento della spesa dopo tante promesse di far dimagrire lo stato federale si era impuntato, minacciando di affossare la legge con un voto contrario alla Camera. Ma la fronda si è sfaldata in poche ore: Trump ha usato il bastone e la carota, alternando promesse di finanziamenti elettorali a minacce di endorsement agli sfidanti alle primarie nei distretti più vulnerabili.
«O con noi o fuori dal movimento», avrebbe detto in una chiamata con alcuni esponenti ribelli, secondo quanto riferito da due fonti del Gop.
Secondo alcune ricostruzioni Thomas Massie, uno dei più vocianti oppositori di Trump fra i deputati, ha accettato di allinearsi al partito in cambio della sospensione delle ostilità nei suoi confronti da parte del presidente.
Trump lo prende di mira da mesi nel suo social Truth, tanto che il transfugo Elon Musk era intervenuto offrendo a Massie di finanziare la sua campagna elettorale dopo l’ennesima minaccia di Trump di fargli pagare il conto alle prossime primarie.
La Camera ha espresso un voto preliminare favorevole con una sola defezione repubblicana, e ieri pomeriggio lo speaker Mike Johnson ha annunciato che il partito aveva i voti necessari per approvare un voto finale che soltanto l’intervento-fiume a puro scopo dilatorio di Hakeem Jeffries, leader dei democratici alla Camera, ha ritardato.
Anche questo ultimo tentativo è diventato oggetto di scherno a destra. «Un deputato del Gop mi ha appena mandato un messaggio: “Ero indeciso sulla riforma, ma poi ho visto la performance di Jeffries e sono passato a un sì convinto”», ha scritto il vicepresidente JD Vance su X.
Quando è stato chiaro che i numeri erano dalla sua parte, Trump ha esultato: «Che grande nottata è stata. Una delle più importanti leggi di sempre. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il paese più “caldo” del mondo!» Il trionfo parlamentare rafforza la posizione di Trump come leader indiscusso del partito.
I numeri dell’economia
Sul tavolo di Powell – e nel mirino di Trump – ieri sono arrivati i dati sull’occupazione: a giugno l’economia americana ha creato 147mila nuovi posti di lavoro, un incremento rispetto alle previsioni degli economisti. Il tasso di disoccupazione è calato leggermente, arrivando al 4,1 per cento, mentre la crescita salariale ha rallentato lievemente (+0,2 per cento su base mensile), segnalando una moderazione delle pressioni inflazionistiche.
Il dato più rilevante, però, è un altro: il tasso di partecipazione alla forza lavoro è salito al 63,2 per cento, il massimo da cinque anni.
Per la Casa Bianca si tratta di un segnale positivo, utile a rivendicare l’efficacia delle politiche espansive volute da Trump.
Ma per la Federal Reserve è un quadro più ambiguo: l’economia non rallenta quanto previsto, e questo rende più difficile l’allentamento monetario su cui i mercati avevano scommesso.
Crociata contro Jerome
Nelle ultime settimane Trump ha intensificato la sua campagna contro il capo della Fed, Jerome Powell, accusandolo apertamente di «tenere l’economia sotto ostaggio per ragioni politiche». In un’intervista a Fox Business, ha definito il presidente della Fed «un freno allo spirito americano», ne ha chiesto le dimissioni immediate e ha promesso che lo sostituirà «con qualcuno che crede nella crescita e nel popolo, non nei modelli accademico».
Powell, dal canto suo, ha cercato di schermarsi dalle pressioni politiche con la retorica dell’indipendenza istituzionale – che funziona con tutti i presidenti tranne con il guastatore di istituzioni Trump – ma è evidente che la Fed si muove ora in un campo minato: da una parte l’obbligo di ancorare le aspettative di inflazione, dall’altra il rischio di alimentare una narrativa ostile che può erodere la fiducia nella banca centrale.
Il braccio di ferro è destinato a durare almeno fino a novembre. Ma con l’Obbb in tasca e i dati macroeconomici positivi, Trump ha trovato nuovo slancio. Il messaggio è chiaro: l’economia cresce, l’occupazione tiene, l’unico ostacolo è Powell.
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