Non si può più parlare di famiglia al singolare in occidente. Né si può continuare a pensare che l’unico modello accettabile di famiglia sia la coppia sposata (o al massimo convivente) che intrattiene una relazione sessuale, a carattere esclusivo, romantico e (idealmente) permanente. Il tema del riconoscimento delle coppie tra persone dello stesso sesso, per quanto fondamentale, non esaurisce la questione, che è più complessa, come cerco di dimostrare nel volume Legal Recognition of Non-Conjugal Families: New Frontiers in Family Law in the US, Canada and Europe.

Il tema è venuto alla ribalta in Italia di recente in due occasioni: la prima coincideva con la fine del primo lockdown e l’inizio della cosiddetta fase 2, la seconda invece coincideva con la seconda ondata autunnale della pandemia. Nel primo caso, il governo consentì una ripresa parziale delle visite a patto che si trattasse di congiunti – termine affascinante e desueto per indicare relazioni affettivo-sessuali e parenti fino a un certo grado. In molti allora denunciarono l’irrazionalità e ingiustizia della scelta del governo, tra cui Arcigay, che parlò dell’importanza di riconoscere la «famiglia affettiva e sociale». La seconda occasione si presenta invece all’indomani della seconda ondata, quando diventa chiaro che la pandemia non è una parentesi chiusasi in estate e che occorreva davvero ripensare tutto, in modo strutturale e non emergenziale, perché Dio sa quanto sarebbe durata.

Ripensare tutto significa quindi immaginare un modo diverso di lavorare (si pensi al fenomeno del southworking), di relazionarsi e prendersi cura degli altri e in generale di stare al mondo. Una pagina di Repubblica titolava: «Cinque single e un casale: insieme per vincere contagio e solitudine». Poniamo che quei cinque “single” (che poi single sono solo se l’unico modello di riferimento è quello affettivo-sessuale) continuano a vivere in quel casale dopo la fine della pandemia e decidono di supportarsi a vicenda in via stabile, è giusto offrir loro gli strumenti giuridici per farlo?

Dal punto di vista giuridico questi “single” nel casale sono invisibili, semplicemente non sono. E non sono poiché, nonostante le recenti aperture verso le unioni tra persone dello stesso sesso, l’idea di fondo rimane quella secondo la quale la “famiglia” deve necessariamente essere un’unione tra due persone, a carattere sessuale, basata su un ideale di fedeltà e permanenza.

Al di là degli aspetti intrinsecamente simbolici dietro una scelta di questo tipo, con cui si riconosce l’intellegibilità sociale e in ultimo la dignità di un certo tipo di unioni e non di altre, esistono aspetti materiali di cui conviene discutere. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, quale sia la logica per cui lo stato riconosce una pensione di reversibilità a una moglie (magari sposata da un mese) e non alla amica convivente di una vita con cui non ho una relazione sessuale. Ci si può chiedere – e sarebbe già qualcosa avendolo dato da sempre per scontato – perché riconoscere tutta una serie di benefici sociali, fiscali, di diritto privato e pubblico alle famiglie se e solo se la relazione in questione abbia carattere sessuale.

Pensione di reversibilità

Riprendiamo l’esempio della pensione di reversibilità: qual è la ragione per cui lo stato riconosce un sostegno economico alla parte superstite? Esistono tutta una serie di ipotesi. Tra queste la tesi secondo cui la pensione è un ristoro che riconosciamo alla persona superstite per le attività di cura e supporto che hanno consentito al lavoratore di restare sul mercato del lavoro, nonché un sostegno economico per l’improvvisa perdita di un’entrata (lo stipendio del lavoratore defunto).

Se questa è la ratio, la decisione di confinare la pensione alla moglie/marito non convince: a) il primo aspetto suggerirebbe al contrario di ricalibrare il target del supporto statale in favore di tutti i nuclei in cui si svolgono compiti di cura (indipendentemente da che esista una relazione sessuale); b) il secondo punto dimostra come in realtà buona parte delle tutele sociali si fondi proprio sull’assunto dell’“interdipendenza economica” (o unione economica), che non è prerogativa esclusiva delle coppie sposate. Anzi, a voler essere cavillosi, la presunzione secondo cui tutte le unioni coniugali siano anche unioni economiche è stata da tempo sconfessata: l’esempio degli Stati Uniti dimostra, ad esempio, come il 31 per cento delle coppie sposate mantenga a oggi un conto corrente separato e come il regime di comunione dei beni sia sempre meno diffuso.

Neppure convince l’estensione che alcuni paesi come il Canada operano nel riconoscere questo beneficio sociale al convivente di fatto, perché, indipendentemente dal matrimonio, ancora una volta il modello di riferimento rimane la relazione sessuale. La domanda che (ri)sorge spontanea è: cosa c’entra il sesso con tutto questo?

L’obiezione principale è fin troppo ovvia: la famiglia coniugale ha una finalità riproduttiva che altre tipologie di famiglie non hanno. Questa obiezione ovviamente non vale per le unioni poliaffettive (poligamiche e poliamorose), che mantengono una componente sessuale sebbene non convenzionale. Per queste famiglie occorre armarsi di studi sul benessere psicofisico del bambino. Si tratta di una questione piuttosto nuova, ma, come dimostrano recenti studi, è possibile tracciare un parallelo con le famiglie arcobaleno e concludere – un po’ semplicisticamente ma efficacemente – “family is where love is”.

Ma a ben vedere l’obiezione della funzione riproduttiva non vale neppure per le famiglie non-conjugal. Ciò per due motivi – che faranno venire l’orticaria ai sostenitori della famiglia nucleare: primo bisogna distinguere le relazioni orizzontali tra persone adulte dalle relazioni verticali tra un adulto e un minore (di cui il rapporto genitore-figlio è il tipico esempio). Le relazioni orizzontali hanno evidentemente un valore in sé in quanto creano un fascio di interdipendenze che lo stato non può semplicemente ignorare. Molti benefici sociali che lo stato riconosce alle unioni coniugali si fondano su questa consapevolezza e infatti non dipendono – salvo eccezioni – dall’avere figli o meno.

Avere figli a carico al massimo influirà sulla somma, come nel caso della pensione di reversibilità, poiché si ha una bocca in più da sfamare. Secondo aspetto: anche la funzione riproduttiva sta attraversando cambiamenti epocali come dimostrano le innovazioni nel campo della riproduzione medicalmente assistita, della surroga e delle famiglie omo-e transparentali. Non è forse la famiglia nucleare con figli biologici essa stessa un mito, strumentale a impedire il riconoscimento di famiglie che non vogliono o possono avere figli biologici?

La crisi del paradigma

Tutti questi cambiamenti ci impongono di riflettere sul perché continuiamo a utilizzare il modello coniugale come paradigma famigliare unico. Riconoscere in un futuro tutte le interdipendenze economiche e affettive, indipendentemente dalla relazione sessuale, sarebbe opportuno. Esistono numerosi esempi in tal senso in nord America e Australia, dove due persone (anche amici o parenti in età adulta) possono registrare la loro unione e ottenere una serie di tutele giuridiche, di solito più limitate rispetto alle tutele riconosciute alle coppie sposate. Mi riferisco ad alcune unioni registrate in Colorado, Hawaii, Alberta (rispettivamente “designated beneficiary scheme”, “reciprocal beneficiary scheme” e “adult interdependent relationships”) o alle “unioni di cura” in Victoria e Tasmania.

Per i più restii a riconoscere l’urgenza di tutelare queste famiglie, si potrebbe invece procedere come una commissione di riforma canadese suggerì di fare nel 2001: analizzando tutti i benefici in materia famigliare uno a uno, per comprenderne a) la finalità; b) se, considerata tale finalità, il tipo di famiglia cui il beneficio è allocato è il target giusto; c) se è possibile consentire a ognuno di designare autonomamente la persona cui conferire quella protezione giuridica (e quindi “chi” è famiglia), o, ove ciò non sia possibile, capire quale relazione famigliare che meglio risponde alle finalità individuate. La Commissione, nell’effettuare questa operazione nel contesto canadese, concluse che nella quasi totalità dei casi la coppia sposata non è il target ideale del supporto statale.

I modelli per ripensare la famiglia “meritevole” di misure sociali e fiscali, dunque, non mancano. Il processo di revisione del modello famigliare attuale sarà chiaramente lungo e travagliato, perché ingombrato da tutta una serie di aspettative a carattere sociale, religioso, e lato sensu legate alla tradizione.

Un’enfasi sulla razionalità/irrazionalità delle singole misure potrebbe essere un buon punto di partenza per depurare il dibattito da poco utili punte ideologiche.

 

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