L’iniziativa più recente è il muro che la Grecia ha annunciato al confine con la Turchia per respingere i migranti. Entro sei mesi aggiungerà, a spese dei contribuenti europei (63 milioni di euro) 26 chilometri di cemento, acciaio e zinco ai dieci già esistenti. Ormai da anni in molti angoli d’Europa si moltiplicano muri e muretti, voluti, in alcuni casi in piena area Schengen, per fermare fantasticate invasioni o per soddisfare il proprio elettorato. Le nuove barriere erette in totale spregio dei principi dell'Ue decretano il sostanziale fallimento di un progetto di libera circolazione e, soprattutto, di unità politica e ideale continentale.

A 31 anni dalla caduta del muro di Berlino, l’Europa si ritrova molto più murata di prima. Mille chilometri di sbarramenti, recinzioni, fili spinati e reti elettrificate sono spuntati ovunque. In questi trent'anni, mentre tutto il mondo continuava a celebrare il 9 novembre 1989 quale data di inizio della «nuova era di cooperazione e apertura attraverso i confini» e a scadenzare anniversari di rafforzamento del sogno di un’Europa senza frontiere, Unione e stati membri riprendevano indisturbati l’inveterata usanza di erigere divisioni. Per ogni mattone di muro abbattuto quel giorno a Berlino, ne sono stati utilizzati sei per chiudere altri confini.

Protagonisti assoluti sulla scena di quella che se fosse una serie televisiva potrebbe intitolarsi “Fortress Europe” sono gli stati dell’Est europeo. L’Ungheria del primo ministro Viktor Orbàn si è dotata di diverse forme di sbarramento. Nel 2015, durante la prima grande crisi siriana, ha piazzato oltre 170 km di filo spinato lungo il confine con la Serbia prima e con la Croazia poi. Le barriere da allora sono sempre aumentate, e nel frattempo ne sono sorte altre ai confini con Slovenia e Romania. È interessante notare il doppio standard del premier magiaro. Da una parte ottiene dalla Ue fondi destinati alla gestione dell’immigrazione extra-europea e li destina in massima parte a erezione di barriere o misure di respingimento: gas lacrimogeni e cannoni ad acqua vengono usati contro i migranti, per la metà, si calcola, minorenni. Dall'altra parte l'Ungheria è a capo di un blocco che si oppone alla redistribuzione dei migranti giunti sul suolo dell’Unione. Il sistema di relocation può dirsi fallimentare: al 14 gennaio 2020, come riporta Open Migration, gli Stati membri avevano messo a disposizione 4237 posti ma effettivamente proceduto allo spostamento di 272 soli rifugiati.

Ha cominciato l’Est Europa

La Bulgaria ha voluto un muro di oltre 200 chilometri al confine con la Turchia mentre Lituania e Lettonia hanno avviato progetti di "protezione" ai confini con Russia e Bielorussia. L’Austria ha alzato una barriera con la Slovenia (in piena area Schengen) e la stessa Slovenia, per giustificare il suo muro ai confini orientali e reperire fondi, ha invocato la clausola 222 del Trattato sul funzionamento dell’Ue che implica solidarietà tra i membri qualora uno di loro sia oggetto di attacchi terroristici o colpito da calamità naturali. Scatenato il piccolo Stato ex jugoslavo che, come ha raccontato il giornalista Valerio Nicolosi in un reportage per Micromega, ha approfittato dell’emergenza Covid per piazzare in pochi giorni una rete metallica lunga circa 40 chilometri lungo il fiume Kolpa, confine con la Croazia.

A Calais, Francia del Nord, la Gran Bretagna ha costruito un muro lungo lungo un chilometro e alto quattro metri a seguito degli addensamenti di migranti nell’area poi soprannominata The Jungle: tra il 2015 e il 2016 si sono concentrati nella boscaglia della cittadina francese fino a 13 mila persone, in gran parte minorenni, che tentavano di raggiungere familiari e contatti solidi al di là della Manica.

Ci sono poi muri a targati Ue anche fuori dai suoi confini. Lungo la frontiera tra Turchia e Siria, nel quadro dell’accordo da sei miliardi di euro siglato nel 2016 con il leader turco Recep Tayyip Erdoğan per il contenimento dei flussi migratori, l’Ue finanzia con 80 milioni di euro il pattugliamento di una barriera di ferro e cemento lunga 800 chilometri.

Le spese non si esauriscono con la semplice erezione dei muri. Comprendono costi vivi relativi agli uomini che li presidiano, tecnologie di sorveglianza, campi per l’alloggiamento dei militari e armi. Un flusso enorme di soldi che fa ipotizzare che dietro non ci sia solo una strategia securitaria. Anche in questo caso, insomma, il principio da adottare per arrivare alla base del fenomeno è "follow the money".

C’è un giro di miliardi dietro la nuova ideologia che ha soppiantato in Europa la contrapposizione tra Est e Ovest alimentando la paura di invasioni immaginarie: secondo i dati Frontex, gli ingressi in Europa nel 2019 non arrivano a 140 mila, e in Italia sono entrati 11.439 migranti, la metà rispetto al 2018.

La sicurezza è un business

Il report The business of building walls, redatto da Transnational Institute, Stop Wapenhandel e Delàs Center stima che il giro d'affari della sicurezza dei confini ha superato i 17,5 miliardi di euro nel 2018, con una stima di crescita annua di oltre l’8 per cento. Tre tipologie di business hanno tratto speciale vantaggio dalla tendenza securitaria. Innanzitutto le aziende di costruzione dei muri di terra e quelle che forniscono tecnologie e servizi necessari al controllo degli stessi. Seguono le società navali e di produzioni di armi che forniscono aerei, elicotteri, navi e droni deputati ai controlli in mare aperto, specie nel Mediterraneo (comprese Frontex, Operation Sophia e Mare Nostrum). Infine le compagnie tecnologiche specializzate in security che monitorano i confini europei. Tra i contractors che maggiormente hanno ricavato profitto dal business "muri" figurano la European Security Fencing (spagnola), la Geo Alpinbau (Austria/Slovenia)e l’olandese Damen. Un grosso capitolo di spesa viene devoluto alle grandi industrie militari come Airbus o l'italiana Leonardo-Finmeccanica, e va ad alimentare il budget dellespese militari, mai così alto come nel 2019: 1.917 miliardi di dollari.

Anni di propaganda sovranista in Europa hanno mutato anche il pensiero dell’Unione. La paura dell’avanzata delle destre estreme ha finito per favorire l’ideologia xenofoba nelle scelte e nelle politiche adottate, come dimostra l’acquiescenza per le continue erezioni di muri anti-migranti se non addirittura il loro finanziamento. Se nel 2017, ad esempio, la Commissione europea liquidava seccamente la richiesta di Orbàn di maggiori fondi per i suoi muri («In Europa li abbiamo appena abbattuti, non abbiamo intenzione di erigerne altri»), di recente, per niente scossa dall’episodio della pattuglia della guardia costiera greca che ha accolto un gommone carico di migranti con bastonate e lanci di razzi di segnalazione, la presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato: «Desidero ringraziare la Grecia per essere lo scudo europeo in questi tempi».

Anche fuori dall’Europa

Ci sono poi i muri che potremmo definire “esternalizzati”. Uno dei casi più inquietanti è certamente rappresentato dalla Libia, dove da anni ormai (Pacchetto Minniti, 2017) l’Italia finanzia la Guardia costiera locale a suon di milioni: lo scorso luglio il parlamento ha approvato il rifinanziamento di quasi 60 milioni di euro per la missione in Libia. Di questi dieci saranno destinati alla assistenza della Guardia costiera, un corpo militare creato nel 2017 per l’intercettazione dei natanti carichi di migranti, addestrato e finanziato dall’Italia. La strategia, condotta di concerto con l’Unione per mettere in sicurezza le frontiere europee, consente a legislatori ed elettori di continuare a non fare i conti con quanto accade nei lager di Tripoli o Misurata, dove migliaia di migranti vivono (e soprattutto muoiono) in condizioni medioevali. Nella frenesia generale si è arrivati a finanziare degli agenti di uno Stato-non Stato per intercettare chi fugge dai centri di detenzione (questa la dicitura ufficiale) e ricacciarlo dentro.

Ovviamente l’Europa non è il solo luogo dove si erigono muri. Ci sono quelli tra Israele e Palestina e i tanti in Africa e Asia, per non parlare dell'infinita barriera tra Messico e Stati Uniti che il presidente Donald Trump ha usato come campagna elettorale permanente. Il mondo, insomma, ha trascorso i 31 anni dal crollo del Muro a costruirne altri. Creata quella breccia storica e respirata un’aria nuova e libera, sembra essersi impaurito. Continua ad arroccarsi, chiudersi, dividersi. Come se volesse sconfessare, piuttosto che celebrare, quel gesto che doveva segnare la fine di un’era.

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