C’è un campo dove l’ex presidente Donald Trump si conferma assoluto vincitore anche quest’anno. Stiamo parlando delle uscite in libreria, dove nessuno può tenere il passo con i libri dedicati a lui, critici o apologetici che siano, meno che mai l’attuale presidente Joe Biden, che viceversa è temuto come soggetto dagli editori per via del fiasco che quasi sempre si prospetta.

L’ex presidente invece ha lasciato la sua impronta lungo tutto l’anno che sta finendo, dall’inizio alla fine. A febbraio è uscito il primo libro, Insurgency, scritto dal giornalista del New York Times Jeremy Peters, che descrive la trasformazione del partito di Abraham Lincoln e Ronald Reagan in quello di Donald Trump.

La tesi del libro è che la destra religiosa ha avuto tutto ciò che voleva da Trump in cambio dello stravolgimento del partito secondo le idee autoritarie di Steve Bannon.

A marzo invece è arrivato un grande classico della letteratura trumpiana, il libro di rivelazioni elaborato da un ex collaboratore di The Donald. In questo caso parliamo di One Damn Thing after Another, scritto dal suo “uomo accetta” Bill Barr, già procuratore generale nell’ultimo biennio di presidenza.

Le registrazioni

Come ci si può aspettare, nel libro si assiste a una narrazione dove Trump è un grande presidente fintanto che si trova in sintonia con il suo principale consulente legale, ma cessa di essere un buon presidente quando “esagera” e cerca di ribaltare il risultato elettorale. Casualmente, proprio quando Barr ha rassegnato le sue dimissioni. Non certo un bestseller, ma nemmeno un disastro.

Parla di Trump e del suo rapporto con Kevin McCarthy, l’aspirante speaker della Camera This will not Pass, scritto da altri due giornalisti del New York Times, Jonathan Martin e Alexander Burns: in mezzo ad altri temi più generali, come lo scontro tra i due partiti e il futuro dell’America, c’è anche lo scoop delle registrazione delle conversazioni tra i due leader.

Nonostante i suoi dinieghi, McCarthy appare piuttosto duro con il presidente uscente all’indomani del tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021 e questo non lo ha aiutato nel tenere buoni rapporti con i membri più estremisti come Matt Gaetz e Marjorie Taylor Greene.

Ci sono stati altri libri da parte di ex membri dell’amministrazione Trump: quello di Mark Esper, A Sacred Oath, è un resoconto preciso della sua permanenza come segretario della Difesa, senza sconti a Trump né prima né dopo la sua svolta insurrezionale.

Mentre il volume a opera di Kellyanne Conway, Here’s the deal e Making history, scritto dal genero dell’ex presidente Jared Kushner, servono principalmente ai loro autori come occasione per regolare i conti con i loro rivali all’interno della stretta cerchia dei collaboratori di Trump.

 So Help me God dell’ex vicepresidente Mike Pence cerca sia di condannare Trump che di compiacere la sua base. Non riuscendo in nessuno dei due intenti.

Saggi

Un altro però è il grande successo editoriale della stagione della saggistica, Confidence Man, scritto da un’altra reporter del New York Times, la “trumpologa” Maggie Haberman, che descrive il percorso umano dell’ex presidente dalla gioventù nel quartiere del Queens fino alla Casa Bianca, nel quale descrive anche il conflitto tra i membri dell’amministrazione, quasi istituzionalizzato in modo da stabilizzare la figura di dominatore assoluto della Casa Bianca.

Non è propriamente un libro, ma le venti audiointerviste di Bob Woodward denominate The Trump Tapes rappresentano materiale di grande interesse, anche per uno scoop: Trump sapeva che il Covid era una minaccia mortale per gli Stati Uniti, ma ha esitato a diffondere la notizia per timore di indispettire la sua base.

Al loro interno però scopriamo che anche Trump cerca di compiacere un potenziale oppositore come la firma del Washington Post, dicendogli che è un «grande storico».

Di Biden, invece, gli editori non vogliono sentir parlare. L’attuale presidente non è un soggetto che interessa molto i lettori. Lo sa bene Gabriel DeBenedetti, giornalista del New York Magazine, che ha scritto The Long Alliance, sul rapporto di amicizia di Biden con l’ex presidente Barack Obama.

Da settembre, mese di uscita, ha venduto poco più di mille copie, mentre lo scorso anno il reporter di Politico Ben Schreckinger con The Bidens ha registrato circa 4mila volumi acquistati.

Va leggermente meglio per i libri scritti dai membri dell’entourage presidenziale o dai suoi familiari: la sorella e stratega elettorale Valerie Biden Owens ha all’attivo poco più 8.500 copie per il suo Growing up Biden: a memory.

L’unico con una cifra significativa è l’uomo al centro delle polemiche repubblicane per il suo stile di vita dissoluto e i suoi affari poco chiari in Ucraina prima della guerra: Hunter Biden, il figlio del presidente, il cui libro Beautiful Things, un memoir, ha venduto 26mila copie.

Questo libro è l’unico a essere apparso nella classifica del New York Times al quarto posto per una settimana. Poco però, se pensiamo che persino il dimenticabile saggio di Mike Pence è arrivato secondo nella stessa classifica per circa un mese.

Presidenza ordinaria

Questa differenza d’interesse però non è necessariamente una brutta notizia per l’attuale presidente. Vuol dire che nel primo biennio della sua amministrazione sono andati come quelli di una presidenza ordinaria, anche se autopercepita come trasformativa.

Viceversa, ogni minuto della presidenza trumpiana viene assimilata a una grande saga criminale dai toni apocalittici. Anche per questo un libro su Trump, per un editore, è un sicuro investimento. Molto più interessante leggere degli sforzi per sovvertire un’elezione che non quelli per cancellare i debiti studenteschi.

In ultima analisi, è anche il segno che Joe Biden non è una figura polarizzante come il suo predecessore Barack Obama. Questo spiega anche perché l’ultimo libro dell’ex first lady Michelle Obama, tradotto in italiano con il titolo La luce che portiamo, è al vertice delle classifiche.

Anche per questo forse per Biden è stato molto più facile lavorare con la leadership repubblicana al Congresso.

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