Al momento in cui questo giornale va in stampa l’unica cosa certa è che le notizie attorno alla sorte del presidente iraniano Ebrahim Raisi sono più che mai confuse. Secondo i media ufficiali di Teheran l’elicottero su cui viaggiava è stato costretto a un «hard landing», un “atterraggio duro”, d’emergenza, in condizioni di grave pericolo nei pressi della città di Tabriz, in un’area al confine con l’Azerbaigian.

Nessuno si spinge oltre anche se un funzionario iraniano anonimo ha riferito a Reuters che la vita del presidente e quella del suo ministro degli Esteri, Hossein Amirabdollahian, che viaggiava con lui, sono «a rischio» a causa di un «incidente»: «Siamo ancora fiduciosi, ma le informazioni che provengono dal luogo dell’incidente sono molto preoccupanti».

«Non è ancora chiaro cosa sia successo all’elicottero del presidente dell’Iran, ma fonti diplomatiche in Occidente stimano che Raisi non sia sopravvissuto», ha riferito in un aggiornamento la tv israeliana Canale 12.

L’agenzia russa Tass ha riportato la notizia secondo cui l’agenzia iraniana Mehr, che in un primo momento aveva diffuso la notizia che il presidente non era stato ferito e si stava recando a Tabriz, ha poi cancellato la notizia.

Tutte le risorse dell’esercito sono utilizzate per le operazioni di ricerca e salvataggio in una zona molto impervia. La nebbia e il maltempo, peraltro, rendono tutto più complicato.

Il portavoce dei servizi di emergenza iraniano ha annunciato che da Tabriz sono state inviate otto ambulanze: «Un elicottero dell’aeroambulanza è stato inviato nella zona, ma sfortunatamente, a causa della forte nebbia, non è stato possibile continuare l’operazione aerea». La Sate TV ha mostrato in diretta le operazioni di soccorso.

«Pregate per lui»

L’agenzia di stampa semiufficiale Fars ha esortato gli iraniani a pregare per Raisi e la televisione di stato ha trasmesso preghiere per il presidente iraniano. La tv di stato ha anche trasmesso immagini di fedeli in preghiera nel santuario dell’Imam Reza nella città di Mashhad, uno dei luoghi più sacri dell’Islam sciita.

Anche la guida suprema, Ali Khamenei, secondo quanto ha riportato l’emittente statale Irib, ha espresso la sua preoccupazione: «Speriamo che Dio riporti l’onorevole presidente e i suoi compagni tra le braccia della nazione. Tutti devono pregare. La nazione iraniana non deve essere preoccupata, non ci saranno interruzioni nel lavoro del Paese».

Poco prima si era diffusa la notizia, poi smentita, che Khamenei aveva convocato una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza. Joe Biden ha invece convocato un vertice alla Casa Bianca e il dipartimento di Stato americano ha fatto sapere di seguire «con attenzione» le notizie riguardanti l’incidente.

Il viaggio

L’elicottero che trasportava Raisi e il ministro degli Esteri, faceva parte di un convoglio di tre elicotteri, due dei quali sono atterrati in sicurezza a Tabriz. Questa mattina Raisi si era recato nell’Azerbaigian orientale dove, insieme al presidente azero Ilham Aliyev, aveva inaugurato una diga al confine tra i due paesi.

Difficile azzardare ipotesi sulle cause dell’incidente al momento ma il paese è stato scosso da attentati sanguinosi rivendicati dall’Isis e, da mesi, è teatro di proteste di massa contro l’obbligo di indossare il velo islamico, manifestazioni spesso represse dai Pasdaran, i guardiani della Rivoluzione, con la forza e dalla magistratura con sentenze a morte degli oppositori.

Giusto questa domenica, la missione permanente dell’Iran presso le Nazioni unite aveva confermato che in settimana si erano tenuti colloqui indiretti tra funzionari di Teheran e Washington. L’Iran e gli Stati Uniti hanno avuto negoziati indiretti in Oman e i colloqui sono in corso, ha aggiunto la rappresentanza diplomatica, precisando che questo tipo di negoziati non sono stati i primi e non saranno gli ultimi del loro genere.

La successione

L’incidente riapre tutti i giochi per la successione a Khamenei. Raisi, 60 anni, era ritenuto il candidato ideale a diventarne l’erede come guida suprema. Duro critico dell’Occidente, Raisi è sotto sanzioni statunitensi per presunto coinvolgimento nelle esecuzioni di centinaia di prigionieri politici decenni fa. Raisi è stato tra i quattro giudici componenti la Commissione della morte che nel 1988 hanno condannato alla pena capitale numerosi oppositori.

La vittoria di Raisi ha confermato la fine di politici riformisti. Il paese si è chiuso dietro i Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione. Ora dopo questo incidente c’è il rischio che il regime, come nella repressione del 2009, serrerà ancora di più le fila.

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