«In India la situazione è grave. Il nazionalismo sta guidando un’aggressione diffusa e letale contro i musulmani in tutto il paese»: è netto il quadro delineato dalla professoressa Angana Chatterji dell’Università della California di Berkeley, co-autrice del volume Majoritarian state: how hindu nationalism is changing India.

Nelle stesse ore in cui, a fine giugno, il primo ministro Narendra Modi, accanto ai leader del G7 riuniti in Baviera, firmava la “Dichiarazione sulle democrazie resilienti” in cui si impegnava a «proteggere la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo e a promuovere il dialogo tra le religioni», la polizia indiana arrestava il co-fondatore del sito di fact-checking AltNews, il giornalista musulmano Mohammed Zubair per un tweet del 2018, ritenuto offensivo delle credenze religiose hindu: «I demagoghi nazionalisti hindu del Bharatiya janata party (o Bjp), al potere, predicano il nazionalismo assoluto, fomentando politicamente la contrapposizione di gruppi minoritari e maggioranza. Sostenuto dai cittadini hindu dell’India che lo hanno votato due volte al potere, il primo ministro Narendra Modi, che guida il governo nazionalista indiano del Bjp, ha scelto fino a oggi di non denunciare le espressioni e le azioni dell’odio nazionalista hindu».

Nello specifico, continua la docente, recentemente i gruppi nazionalisti hindu hanno guidato o sostenuto processioni religiose attraverso quartieri musulmani, istigando alla violenza tra hindu e musulmani, mentre le autorità agivano contro chi partecipava alle proteste nei confronti del governo: «Sono state anche portate avanti campagne basate sulla teoria della “jihad d’amore” secondo cui gli uomini musulmani cercherebbero di sposare donne hindu per mettere in pericolo e sopraffare la cultura hinduista – su questa convinzione sono state promulgate delle leggi specifiche».

Secondo un report pubblicato lo scorso anno dal Pew Research Center, gli hinduisti costituiscono il 79,8 per cento della popolazione indiana e i musulmani il 14,2 per cento. Cristiani, sikh, buddisti e giainisti rappresentano la gran parte del restante 6 per cento. Agli hinduisti resta la maggioranza in 28 dei 35 stati, compresi i più popolosi: Uttar Pradesh, Maharashtra e Bihar. I musulmani costituiscono la maggioranza nel piccolo arcipelago delle Laccadive e in Jammu e Kashmir, al confine con il Pakistan, ma solo il 5 per cento di loro vive in questi due luoghi: il 95 per cento dei musulmani indiani risiede in stati nei quali rappresenta una minoranza religiosa.

Le radici del nazionalismo

Per comprendere come si è arrivati a questa situazione esplosiva, bisogna comprendere le radici del nazionalismo religioso in India, riflette Muqtedar Khan, professore del dipartimento di Scienze politiche della Università del Delaware, esperto della geopolitica dell’Islam: «Parliamo di una forma di nazionalismo chiamata nazionalismo hindu, il cui obiettivo è rendere l’India una nazione hinduista, e nel mentre mettere a tacere ed emarginare le minoranze religiose, musulmane e cristiane in particolare».

Le ragioni sono prevalentemente storiche: «A lungo i musulmani hanno governato l’India, seguiti dai cristiani durante l’epoca coloniale, in particolare britannica. Il nazionalismo hinduista, guidato da un movimento di estrema destra nato nel 1925 e chiamato Rashtriya swayamsevak sangh o Rss, sta cercando di fare dell’India un paese a maggioranza hindu e dell’hinduismo la religione nazionale. In altre parole, sta cercando di trasformare l’India da stato democratico a stato religioso hinduista».

Negli scritti dell’ideologo dell’Rss Golvalkar si legge l’evidente fascinazione nei confronti del nazismo tedesco e del fascismo italiano. La ricerca di una nazione pura hindu, o Hindu Rashtra, è alla base della cosiddetta ideologia Hindutva – secondo la quale musulmani e cristiani non sono autentici indiani perché non sono hindu, anche se sono nati e cresciuti in India. Nel suo Why I am a hindu, l’intellettuale e parlamentare Congress Shashi Tharoor ricorda che secondo tale teoria, è hindu «colui che considera l’India la sua patria (matrbhumi), la terra dei suoi antenati (pitrbhumi) e la sua terra santa (punyabhumi)».

L’azione politica

Il braccio politico dell’Rss è il Bjp, partito del primo ministro Narendra Modi che è al potere dal 2014, e detiene la maggioranza assoluta in parlamento, che si è rafforzata con il suo secondo mandato, nel 2019: «Dopo le ultime elezioni il governo ha compiuto diversi passi in questa direzione, come l’emendamento alla legge di cittadinanza (Caa) approvato nel 2020, che prevede un accesso accelerato alla cittadinanza indiana ai rifugiati non musulmani. Contemporaneamente ha avviato il National register of citizenship, un registro nazionale della cittadinanza che rischia di rendere centinaia di migliaia di musulmani apolidi negli stati orientali dell’India, dove già si stanno costruendo quelli che a tutti gli effetti paiono campi di concentramento per i cittadini la cui cittadinanza venga messa in discussione».

Ma per cogliere l’accelerazione più recente bisogna fare ulteriori passi indietro e tornare al 1992, quando numerosi “kar sevak”, affiliati alle varie sigle dell’estremismo hindu demolirono Babri Masjid, moschea eretta nel Sedicesimo secolo da un sultano Moghul nella città di Ayodhya, in Uttar Pradesh: «Nonostante quel che sostengono gli storici, la propaganda estremista sosteneva che la moschea fosse stata eretta sopra i resti di un tempio hindu eretto nel Ram Janmabhoomi, ovvero sul luogo di nascita del dio Rama. Nel 2019 una sentenza diede il terreno agli hinduisti, sancendo così l’equiparazione di credenze e mitologia hindu ai fatti».

La demolizione della moschea, ricorda Khan, avvenne con il Congress al potere. Nel 1991 venne promulgato il Places of worship act, di modo che moschee, templi, chiese o qualsiasi luogo di culto pubblico esistente il 15 agosto 1947, ovvero al momento dell’Indipendenza indiana, mantenesse lo stesso carattere religioso che aveva quel giorno, indipendentemente dalla sua storia – eccezion fatta per Babri Masjid: «Eppure negli ultimi anni sono stati aperti diversi casi, in vari tribunali, che chiedono di identificare i luoghi in cui è nata una tal divinità e trasformarli in tempi hinduisti. Luoghi simbolo come il Taj Mahal o Qutub Minar a Delhi non sono esenti da queste pretese. La strategia della destra sembra quella di voler cancellare non solo i diritti dei musulmani, ma anche il passato islamico dell’India».

Ideologia e voto

Elettoralmente parlando, continua Khan, il Bjp sa di avere molto da guadagnare dalla polarizzazione della popolazione: «Il governo ha gestito male l’emergenza Covid, l’economia è in crisi, la disoccupazione è a un massimo storico, sono in corso varie privatizzazioni. Ma il tema che tiene banco, è quello dei musulmani».

Un esempio chiaro è quello dello stato più popoloso della nazione, l’Uttar Pradesh, guidato dal 2017 dal monaco hinduista Yogi Adityanath, del Bjp: «Un segmento della popolazione è stato costantemente radicalizzato negli ultimi cinque anni. Lo stato è tornato al voto tra aprile e maggio, e le elezioni sono state caratterizzate da una campagna contro l’invasione dell’India da parte dei musulmani. L’agenda di polarizzazione richiama voti soprattutto nella cosiddetta cintura hindi del nord [prevalentemente hindi], come Madhya Pradesh e Uttar Pradesh».

Ma l’agenda Rss non riguarda solo la minoranza musulmana, ricorda padre Dominic Emmanuel, editorialista ed ex portavoce della Chiesa di Delhi, autore di Christianity, Hindutva, Conversion: «La persecuzione dei cristiani è in corso da molto tempo, ormai. I primi segnali si riconoscevano già nel 1998 quando sono diventato il portavoce della Conferenza episcopale cattolica nazionale». Tra gli episodi più importanti, le violenze di Dangs, nel sud del Gujarat, culminate nel dicembre 1998 in occasione del Natale cristiano. «Mesi dopo un missionario australiano è stato bruciato vivo in Orissa con i suoi due figli».

Il tema caldo, in questo caso, sono le conversioni: la prima legge anticonversione è stata approvata nello stato del Madhya Pradesh nel 1967. «Ma negli ultimi anni, da quando il Bjp è al potere, il partito ha iniziato a promettere l’implementazione di queste leggi a livello statale: oggi sono 8-9 gli stati che hanno una legge anticonversione, ed è diretta principalmente contro i cristiani».

L’associazione Adf India, prosegue il sacerdote, monitora il costante aumento delle violenze ai danni dei cristiani. Un report pubblicato nel 2021 parla di oltre 300 episodi di violenza nei primi nove mesi dell’anno scorso: «Dopo l’indipendenza, il Congress permise l’istituzione del comitato Niyogi sulle attività missionarie cristiane – i missionari erano chiamati cristiani del riso, accusati di sfamare i poveri per poi convertirli».

Una ulteriore stretta, sotto il governo Modi, è arrivata dal Foreign contribution regulation act, che limita fortemente i contributi stranieri alle organizzazioni non governative: «Restrizioni volte a colpire le organizzazioni non profit cristiane e musulmane, messe in una “lista di controllo” per aver violato le leggi indiane, in particolare le leggi sulle conversioni religiose. Inizialmente, il governo aveva bloccato i finanziamenti esteri anche alle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta. Amnesty International India ha dovuto chiudere le sue operazioni in India».

Tuttavia, secondo padre Emmanuel, i cristiani continueranno a restare un obiettivo secondario dell’Rss e dell’ideologia ultranazionalista: «Il governo ha paura che, se agirà con forza contro i cristiani, le superpotenze europee e gli americani faranno sentire la propria voce. Quindi continueremo ad assistere ad attacchi a bassa intensità, ma anche ad arresti di religiosi attivisti, come padre Stan Swamy, gesuita come il papa, morto lo scorso inverno a 84 anni dopo nove mesi di carcere».

Attivisti e arresti

Oggi sono gli attivisti i principali obiettivi, sostiene Nilanjan Mukhopadhyay, giornalista e autore di The Rss: icons of the indian right. Pochi giorni prima della fine di giugno, due arresti hanno segnato, secondo gli osservatori, un punto di non ritorno sulla questione minoranze religiose: quelli della attivista Teesta Setalvad e del giornalista Mohammed Zubair: «Per inquadrare la questione, dobbiamo partire dal 2002, anno in cui avvenne il tragico incendio di un treno carico di attivisti hindu di ritorno da Ayodhya, dove avevano manifestato per la costruzione del tempio hinduista sui resti della moschea di Babri Masjid».

Si ritiene che il fuoco sia stato appiccato quando il convoglio, carico di oltre 2mila kar sevak, aveva da poco ripreso il suo cammino dopo una sosta nella stazione di Godhra, dove si erano verificati forti scontri tra gli attivisti hindu e alcuni venditori musulmani. Nelle fiamme morirono 59 pellegrini. Poche ore dopo, iniziarono violente rivolte anti-musulmane in tutto lo stato del Gujarat, che causarono la morte di 2mila persone, in maggioranza musulmane: «Modi era il primo ministro dello stato, all’epoca, e venne accusato se non di aver partecipato direttamente, quantomeno di non aver agito in modo proattivo».

Tra i morti, anche un ex deputato musulmano del Congress, Ehsan Jafri: «Sua moglie, Zakia Jafri, è stata implacabile nel perseguire la verità e chiedere un’indagine sulle responsabilità di Narendra Modi. Ma a fine giugno, oltre a rigettare la sua richiesta, i giudici hanno deciso di agire contro gli attivisti che hanno preso parte alle indagini, come Teesta Setalvad».

La Setalvad è accusata di aver fabbricato prove e influenzato i testimoni, ma Mukhopadhyay non accetta le imputazioni: «In India gli attivisti sono sempre coinvolti in indagini. Io personalmente ho preso parte alla ricerca delle verità legata ai disordini e le uccisioni che seguirono l’assassinio di Indira Gandhi a Delhi, nel 1984. Quella in atto è una caccia alle streghe contro chi ha cercato di indagare sul ruolo di Modi nei fatti del 2002».

Il ruolo del tribunale

Un tassello va aggiunto al quadro, ovvero il ruolo della Corte suprema indiana. Secondo il giornalista, le ultime sentenze dimostrano che l’alto organo sta prendendo posizioni sempre meno politicamente imparziali: «Pensiamo alla sentenza su Ayodhya. È stato stabilito che la moschea è stata demolita ingiustamente, ma la proprietà del terreno è stata consegnata agli hinduisti, che ora vi stanno costruendo un tempio. La posa della prima pietra da parte di Modi è avvenuta nell’agosto 2020, il tempio sarà probabilmente inaugurato nel dicembre 2023: poco prima delle prossime elezioni generali».

La nomina dei giudici delle varie corti, in India, non è decisa dal governo, che può però rifiutare la nomina di alcuni tra i nomi papabili: «Uno dei giudici coinvolti nella sentenza su Ayodhya, dopo il pensionamento è stato candidato dal Bjp al Rajya Sabha, la camera alta del parlamento. Questo è il messaggio che viene trasmesso: gli attivisti vengono perseguiti. Intanto, Modi si presenta alle altre nazioni non solo come primo ministro d’India, ma come leader dell’unica nazione hinduista nel mondo».

Tuttavia, nelle scorse settimane, i paesi del Golfo hanno protestato contro le dichiarazioni offensive nei confronti del profeta Maometto della portavoce del Bjp Nupur Sharma, immediatamente silurata, ma non prima che in tutta la nazione si verificassero violenti scontri, culminati con l’abbattimento delle abitazioni di attivisti e manifestanti in Uttar Pradesh: «Nelle scorse settimane, in seguito alla proposta di reclutamento temporaneo nell’esercito, le proteste degli aspiranti soldati hanno portato a diversi incendi di treni e proprietà statali. Per mesi i contadini hanno bloccato diverse strade che conducevano alla capitale, in protesta contro le leggi agricole, poi ritirate. In nessun caso le autorità hanno proceduto ad abbattere le case dei manifestanti, senza preavviso» spiega il professor Khan. È all’interno di questo quadro, spiega, che si è verificato l’arresto del giornalista Mohammed Zubair: «È stato fermato dalla polizia di Delhi ufficialmente per un tweet risalente a quattro anni fa, ma giusto pochi giorni dopo aver segnalato un video della Sharma, diventato virale, che ha scatenato le proteste dei paesi del Golfo».

Ma il punto di non ritorno, come lo chiama il professor Apoorvanand, attivista e docente dell’Università di Delhi, è stato l’arresto di Teesta Setalvad: «La vedova di Jafri, insieme alla Setalvad, ha insistito per venti lunghi anni per ottenere chiarezza sulle responsabilità di Modi nel massacro del Gujarat del 2002. Mantenevano alta l’attenzione, e per questa ragione sono sempre state viste con ostilità da Modi, Bjp e Rss».

Apoorvanand stesso un anno fa è stato fermato dalla polizia per aver preso parte alle proteste anti-Caa avvenute nella capitale: «Tra febbraio e marzo ci furono attacchi nei confronti dei musulmani che stavano protestando», ricostruisce Apoorvanand. «Nonostante la stragrande maggioranza delle vittime di quegli episodi fossero musulmane, sono principalmente musulmani gli arrestati, una ventina di giovani uomini e donne cui è stata negata la libertà su cauzione, accusati di essere coinvolti in attività contro il governo. Lo stesso si dice contro Setalvad: che abbia cospirato ai danni dello stato».

A lungo la donna è stata protetta dall’arresto dall’Alta Corte di Bombay e dalla Corte Suprema, spiega il professore. «Questa volta, però, sono riusciti a farne un esempio per tutti. Stanno dicendo: se questo può essere fatto a una figura così nota e riconosciuta a livello internazionale, come Setalvad, può succedere a tutti».

Il repentino cambio di direzione dell’alta corte non è del tutto inaspettato, prosegue: «Le petizioni dei politici di Jammu e Kashmir, arrestati nel 2019 all’indomani dall’abolizione dell’articolo 370 che ha portato alla divisione in due parti di Jammu e Kashmir, non sono ancora state ascoltate dalla Corte suprema, che ha ignorato le istanze dei musulmani e degli attivisti per i diritti umani. Questo segna il momento più grave: il tribunale non solo ignora chi si batte per i diritti delle minoranze, ma li persegue attivamente».

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