La guerra di Gaza si avvicina a un punto di svolta fondamentale, che inevitabilmente avrà un peso importante su come gli eventi si svolgeranno nelle prossime settimane. Martedì sera il governo ha approvato un accordo per la liberazione di 50 ostaggi a fronte della liberazione di 150 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Contestualmente ci sarà un cessate il fuoco che permetterà lo scambio dei prigionieri, che avverrà gradualmente ogni giorno per quattro giorni, con 12o 13 israeliani che torneranno e il triplo di palestinesi che verranno consegnati ad Hamas.

Gli ultimi dettagli dell’accordo sono stati definiti dal direttore del Mossad, David Barnea, che, secondo Axios, si è recato ieri pomeriggio a Doha per incontrare il primo ministro qatariota, Mohamed Bin Abdul Rahman al Thani.

Ma la tregua e il rilascio degli ostaggi, inizialmente previsti per giovedì, slittano a venerdì, con Hamas che non avrebbe ancora ratificato l'accordo raggiunto con Israele.

Intanto, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha incontrato a Beirut il leader del gruppo palestinese Jihad islamica, Ziyad al Nakhalah, e il vice capo dell'ufficio politico di Hamas, Khalil al Hayya. I tre hanno discusso «della tregua e degli sviluppi» nella Striscia di Gaza.

Obiettivi in conflitto

«Avendo la possibilità di liberare anche solo 50 ostaggi, il governo non poteva dire di no. Ma questo vuol dire che Hamas può ottenere fino a cinque cessate il fuoco», dice Itamar Rabinovich, ex ambasciatore israeliano a Washington e negoziatore capo con la Siria a metà degli anni Novanta.

Rabinovich ragiona sul numero di ostaggi più o meno accertati ora a Gaza, che secondo l’esercito israeliano sono 236.

Il problema che Israele sta affrontando, spiega Rabinovich, è che si trova a combattere una guerra che ha due obiettivi in conflitto tra loro: sradicare Hamas da Gaza e riportare a casa il numero più alto di ostaggi possibile.

Il rischio è però che i cessate il fuoco creino un congelamento del conflitto che, sebbene breve, ma potenzialmente ripetuto nel tempo, possa avvantaggiare Hamas.

«Qualsiasi cosa succeda ora Hamas ne guadagna», dice l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert. «Se non c’è un accordo sugli ostaggi, Israele continuerà ad essere “l’impero” dilaniato all’interno perché Hamas potrà continuare a ricattarci. Se ne liberano alcuni, otterranno invece il cessate il fuoco che gli darà un certo vantaggio per nascondersi o peggio».

Sottolinea Olmert che all’estero le opinioni pubbliche non appoggiano Israele. Non considerano la sofferenza di aver vissuto per anni con la minaccia di un attacco. Ora che è successo, e con tali proporzioni, l’impressione che hanno è che una potenza così immensamente più forte stia scatenando un genocidio contro i palestinesi.

«In questo contesto», spiega Olmert «la comunità internazionale si chiede: perché si lamentano degli ostaggi quando stanno uccidendo migliaia di palestinesi? Si lamentano dei bambini presi ostaggio, ma quanti bambini palestinesi hanno ucciso loro?»

A preoccupare molto l’élite intellettuale e politica israeliana è quello che succederà dopo la guerra e quello che loro considerano il vero significato di questo conflitto.

«Penso che la fase attiva della guerra durerà qualche altra settimana, il mondo non ci lascerà continuare più a lungo. Il mandato che ci ha dato la comunità internazionale è limitato. In più sono coinvolti decine di migliaia di riservisti e l’impatto economico è importante», spiega Rabinovich.

Conflitto più ampio

Vari analisti pensano che Israele proseguirà occupando la parte nord della Striscia, mentre poi manterrà l’assedio della zona sud, effettuando solo operazioni militari mirate.

Alla fine di questa guerra, però, quello che rimarrà è un conflitto molto più ampio, sottolinea l’ex ambasciatore.

«Io chiamo questa guerra la prima guerra israelo-iraniana» dice Rabinovich.

L’Iran è stato molto abile a costruire una rete di alleati con cui combattere delle guerre per procura. Oltre ad Hamas, parliamo di Hezbollah in Libano, la Siria, lo Yemen e in qualche maniera anche l’Irak che potrebbe costituire una minaccia ad est attraverso il trasferimento di forze in Giordania.

«Quindi quando la guerra di Gaza finirà, rimarrà la guerra con l’Iran. E dietro l'Iran c'è la Russia e, fino a un certo punto, anche la Cina», chiosa Rabinovich.

Il coinvolgimento totale del Libano è stato una grande preoccupazione sin dall’inizio della guerra. L’enorme arsenale di cui Hezbollah dispone, sarebbe però lì a proteggere le infrastrutture dedicate al programma nucleare iraniano in caso di attacco israeliano o statunitense, spiegano vari analisti.

Il rischio di poterlo perdere attaccando Israele, approfittando dell’impegno dell’esercito del Paese ebraico a Gaza, sarebbe ciò che ha fatto desistere l’Iran nello spingere Hezbollah a farlo.

Per questo ora il conflitto col Libano è a bassa intensità. Il nord e la Cisgiordania rappresentano gli altri due fronti con cui Israele si trova alle prese, mentre combatte la guerra con Hamas.

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