Saeid Montazeralmahid, portavoce delle forze di polizia iraniane, ha confermato domenica il rafforzamento dei pattugliamenti della polizia religiosa per reprimere chiunque non si conformi alle norme sull’abbigliamento dettate dalla Repubblica islamica.

In particolare, ha dichiarato che «la polizia non avrà altra scelta che intraprendere le vie legali con le persone incuranti delle norme sull’abbigliamento e che continuano a violarle». 

È un nuovo punto di svolta nella politica adottata dal regime a partire dall’uccisione di Mahsa Amini, la ragazza curda morta tre giorni dopo essere stata arrestata a Teheran per non aver indossato correttamente l’hijab. La sua morte aveva portato a diverse proteste anti regime sia in Iran sia a livello internazionale.

Cambio di metodo

Le autorità iraniane si erano progressivamente allontanate dall’adozione di metodi direttamente coercitivi delle leggi riguardanti l’obbligo di indossare l’hijab. Questo non significava che il regime avesse rinunciato a far valere le proprie leggi sulla morale e sul decoro, però perlomeno le donne correvano meno il rischio di essere fermate per strada per rispondere del loro abbigliamento. 

In realtà nell’ultimo periodo, il governo iraniano aveva impiegato un approccio semplicemente diverso per identificare chi avesse violato la legge sull’hijab: la polizia aveva ricorso sempre più frequentemente all’uso di telecamere di sorveglianza in modo da individuare i responsabili che poi ricevevano avvertimenti, multe o convocazioni a giudizio.

Senza distinzione

Inoltre, la polizia aveva anche provveduto alla chiusura di tutte le attività, come ristoranti, bar e perfino centri commerciali, che avevano servito donne non vestite adeguatamente con l’intenzione di mettere in atto un vera e propria punizione collettiva per reprimere il supporto complessivamente mostrato nei confronti dei moti di protesta. 

Col rafforzamento dell’autorità della polizia ritorna la questione, da tempo sollevata dagli oppositori del regime, riguardo la mancata definizione legislativa del reato “dell’hijab improprio” , che così resta soggetto esclusivamente all’interpretazione discrezionale della polizia religiosa che può così punire le donne a proprio piacimento. 

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