Il piano israeliano: deportare i gazawi nel Sud Sudan

C’è una strana alleanza che si va delineando sulla scena geopolitica tra Africa e Medio Oriente e che vede stringere accordi due improbabili attori, Israele e Sud Sudan. Lo scorso 13 agosto è volata a Juba, capitale del Sud Sudan, una delegazione israeliana guidata dalla viceministra degli esteri Sharren Haskel. Ufficialmente approdata nel paese africano per «Creare una base per un dialogo rafforzato e iniziative di collaborazione», la Haskel, dopo un colloquio con il Presidente Salva Kiir, ha incontrato il ministro degli esteri sudsudanese Monday Kumba e ha siglato un memorandum di intesa definito dalla stessa «storico». Nei giorni successivi all’incontro di Juba, nei media israeliani hanno cominciato a circolare notizie riguardanti progetti di cooperazione tra i due paesi, confermate dalla dichiarazione del Ministero degli Esteri di Tel Aviv che si è detto pronto a inviare aiuti umanitari "urgenti" per affrontare la crisi del colera. «Aspettiamo solo di morire», la disperazione dei gazawi Evacuazioni in vista L’inaspettato bilaterale è avvenuto neanche 24 ore dopo la notizia diffusa da Associated Press secondo cui il Sud Sudan era in trattative con Israele per accogliere cittadini gazawi in vista di una occupazione della Striscia e una successiva evacuazione dei residenti. Il governo dello stato africano, attraverso un comunicato del ministero degli esteri, ha subito sconfessato le voci che nel frattempo stavano facendo il giro del mondo, ma proprio mentre partivano le «ferme smentite delle recenti notizie diffuse» definirle «prive di fondamento e lontane dalla posizione o la politica ufficiale», sbarcava a Juba la delegazione degli israeliani. Inevitabili, quindi, polemiche e speculazioni. Non pochi osservatori, infatti, insistono sul timing dell’evento e su una serie di fattori politici ed economici, rivelatori di una strategia israeliana per molti piuttosto chiara. Il summit avviene subito dopo la dichiarata intenzione del governo Netanyahu di occupare interamente la Striscia e di inviare a paesi terzi i suoi abitanti. Parallelamente all’operazione sarà quindi necessario reperire paesi pronti ad accogliere centinaia di migliaia di palestinesi e il Sud Sudan – stato con cui Israele ha un rapporto particolare fin dal 2011 anno dell’indipendenza dal Sudan retto dall’islamista estremo Omar al Bashir – stretto tra l’ennesima crisi di instabilità, povertà e carestie endemiche e la sospensione degli aiuti americani, sembra fornire alla ricerca israeliana il profilo ideale. La coerenza di Netanyahu, la cacciata di un popolo e il paese negato Secondo vari analisti, quindi, la debolezza estrema in cui il Sud Sudan versa travolto da una situazione da pre-guerra innescatasi a marzo scorso quando il presidente Salva Kiir ha ordinato l’arresto del suo vice – e storio nemico - Riek Machar, dalla diffusione di patologie (secondo l’Onu, dall'ottobre 2024 c’è una grave epidemia di colera con più di 80mila casi acclarati e circa 1.400 decessi, ndr) e dalla scarsità degli aiuti internazionali, avrebbe spinto Juba verso una certa accondiscendenza nei confronti di richieste israeliane. Dal canto suo, il Sud Sudan, straricco di petrolio e risorse naturali ma ridotto in povertà da secoli di sfruttamento e malapolitica, a quanto si legge in un comunicato della presidenza, «attribuisce grande importanza al sostegno di lunga data di Israele» e si dice pronto a «offrire a Israele nuove opportunità nell'industria del petrolio e del gas, nei minerali, nell'agricoltura e nella gestione delle risorse idriche, con l'obiettivo di attrarre investimenti stranieri». Israele vuole la Cisgiordania: «Dite addio alla Palestina» "Accoglienza” «[Il piano di invio di gazawi in Sud Sudan] non è stato assolutamente l'oggetto delle discussioni - ha detto Sharren Haskel quando le è stato chiesto se a Juba si fosse parlato i resettlement di palestinesi – i colloqui hanno riguardato la politica estera, le organizzazioni multilaterali, la crisi umanitaria e la guerra». Ma nel frattempo, come riporta Nigrizia, si moltiplicano le conferme di un dialogo aperto sul tema “accoglienza palestinesi”. Ne ha parlato Reuters e ne ha fatto cenno anche Joe Szlavik, un lobbista che lavora negli Stati Uniti per il Sud Sudan che intravede una rimozione del veto sui visti a sudsudanesi in Usa in cambio di un’apertura verso i gazawi. E lo fa pensare la propensione di un paese strangolato dai problemi, propenso ad accettare l’inaccettabile.