I parenti degli ostaggi nella Striscia di Gaza hanno fatto irruzione nel parlamento per chiedere al governo di garantire il rilascio. «Non starai qui mentre i nostri figli muoiono» e «che ne dici di riscattare i prigionieri?» hanno urlato alla commissione delle finanze della Knesset. Già nella mattinata, la polizia si è scontrata con i manifestanti radunati fuori dall’edificio. 

Dopo le proteste, il primo ministro israeliano, Benjamin Netayahu, ha annunciato di avere una «proposta sugli ostaggi» ma non ha fornito ulteriori dettagli. «Non esiste una vera proposta da parte di Hamas», ha detto Netanyahu criticando chi lo aveva affermato.

Sono settimane che i familiari manifestano per chiedere al governo un intervento che porti alla liberazione di ancora circa 130 ostaggi in mano ad Hamas da inizio conflitto. Domenica sera gruppi di famiglie e manifestanti hanno bloccato il traffico di fronte alla residenza del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. La protesta aveva lo scopo di chiedere al governo di raggiungere finalmente un accordo per garantire il ritorno degli ostaggi. Ad aggravare la situazione anche le affermazioni di un funzionario di Hamas. «Non c’è alcuna possibilità per il ritorno dei prigionieri», ha detto dopo il rifiuto di Netanyahu delle condizioni di Hamas. 

Anche all’interno dello stesso governo si sono verificati degli scontri. Gaidi Eisenkot, l’ex capo militare, ha criticato in un’intervista la decisione di Netanyahu di procedere con la guerra a ogni costo. Aveva suggerito di prendere in considerazione una pausa del conflitto per garantire il rilascio degli ostaggi e l’anticipazione delle elezioni.

Protesta davanti alla residenza del premier a Gerusalemme, altre manifestazioni a Tel Aviv e Haifa

Crisi interna

La mozione di sfiducia contro il primo ministro Netanyahu ha ottenuto solo 18 voti, che non rappresenta la maggioranza necessaria. Il voto è stato boicottato dalla coalizione che ancora sostiene il premier. I capi avevano affermato che che «non avrebbero preso parte a spettacoli politici in tempo di guerra».

La mozione era stata presentata dal partito laburista che ha citato il «fallimento» del governo nell’assicurare il ritorno degli ostaggi alle loro case. Ma i laburisti israeliani occupano solo 4 dei 120 seggi alla Knesset. 

Intanto anche il ministro della Sicurezza nazionale, Ben Gvir, ha lanciato un avvertimento. «Se la guerra finisce, il governo cade», ha detto durante la riunine del suo partito Otzma Yehudit. Il messaggio è rivolto indirettamente a Benjamin Netanyahu che da settimane è sottoposto alle crescenti tensioni da parte degli alleati internazionali. 

La soluzione dei due stati

Il ministro degli Esteri, Israel Katz, è intervenuto al Consiglio dei ministri dell’Ue presentando due progetti. Il primo riguarda la creazione di una ferrovia in Medio Oriente che possa collegare Israele con la Giordania, l’Arabia saudita, Bahrein ed Emirati arabi uniti. La seconda, invece, è la costruzione di un’sola artificiale al largo delle coste di Gaza da donare ai palestinesi. La notizia è stata riportata da The Jerusalem Post. 

La proposta è stata rifiutata dal ministro degli Esteri palestinese, Riyad al Maliki, presente al Consiglio. Al Maliki ha chiesto anche all’Unione europea di prendersi le proprie responsabilità nel conflitto. «Mi aspetto che condanniate la dichiarazione di Netanyahu sul rifiuto della soluzione dei due Stati. Mi aspetto che cominciate a prendere in considerazione sanzioni contro Netanyahu», ha detto. 

L’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, non accetterà nessun processo di pace senza una soluzione dei due stati. Lo ha detto prima dell’incontro dei ministri degli Esteri dell’Ue. Borrell sa che Israele ha rifiutato la proposta, ma chiede «qual è la loro soluzione? Cacciare la gente da Gaza? Ucciderli tutti?», ha detto Borrell. Ha ricordato anche che la situazione umanitaria a Gaza «non potrebbe essere peggiore» per mancanza di cibo e medicine.

Anche l’Arabia saudita è tornata a parlare sulla soluzione dei due stati. Già a Davos aveva anticipato che il regno avrebbe accettato una normalizzazione con Israele solo nel caso di un percorso verso uno stato palestinese. Il ministero degli Esteri lo ha ribadito in un’intervista televisiva. «Questo è l’unico modo per ottenere un vantaggio», ha risposto alla domanda sullo stato palestinese. 

La guerra

Nelle ultime 24 ore sono 190 le persone che sono state uccise nella Striscia, facendo salire il bilancio totale a 25,295. A Gaza continua ad essere isolata, ormai per il decimo giorno di fila, il più lungo blackout da inizio conflitto. Lo ha reso noto Paltel, una delle società di telecomunicazioni che opera nella Striscia. 

A Khan Yunis, nel sud della Striscia, le forze israeliane hanno circondato l’ospedale Nasser paralizzando le attività. La struttura era la più grande ancora in funzione a Gaza. Lo ha riportato la Mezzaluna rossa. Un grande attacco israeliano ha causato lamoerte di «almeno 50 terroristi», ha detto l’esercito. L’Idf ha confermato che l’operazione a Khan Yunis durerà ancora alcuni giorni.

Migliaia di persone hanno cominciato a fuggire da Khan Yunis verso Rafah a causa dell’intensificazione degli attacchi israeliani. Lo ha detto Haaretz, sottolineando anche il timore che questo sovraffollamento possa causare il collasso delle infrastrutture della città.

Due palestinesi sono stati arrestati dalla polizia israeliana. I due sono accusati di aver pianificato un attentato vicino alla Knesset con un camion esplosivo pieno di gas. 

Le sirene di allarme hanno continuato a suonare anche lungo il confine con il Libano. Hezbollah ha rivendicato un attacco dal Libano verso il villaggio Shomera. «Anche se Hezbollah dovesse interrompere il fuoco unilateralmente, Israele non fermerà i combattimenti finché non potrà garantire il ritorno dei residenti al nord alle loro case», ha detto il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant. Per questo, l’Idf ha confermato attacchi aerei contro degli obiettivi di Hezbollah in cinque aeree del sud. 

Nel mar Rosso

Il gruppo di ribelli yemeniti, Houthi, ha attaccato un’altra nave mercantile militare americane nel Golfo di Aden. «La ritorsione contro gli attacchi americani e britannici è inevitabile e che qualsiasi nuova aggressione non rimarrà impunita», ha detto il portavoce del gruppo in una nota. 

Infatti, nonostante la risposta americana contro i missili Houthi nello Yemen, il gruppo ha sempre dichiarato di voler continuare gli attacchi contro le navi mercantili dirette ad Israele.
 

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