Il ministro degli Esteri cinese, che si è recato in visita in Egitto, ha chiesto insieme al paese ospitante, il cessate il fuoco a Gaza e uno «stato indipendente di Palestina». Per la prima volta dall’inizio della guerra un emissario di Pechino si reca nel paese del generale Abdel Fattah al-Sisi per discutere della crisi in Medio Oriente. A preoccupare la Cina, infatti, è soprattutto la tensione nel mar Rosso tra i paesi occidentali e gli houthi che attaccano navi mercantili diretti verso il canale di Suez. Un’escalation militare nell’area metterebbe in difficoltà l’economia cinese dato che in quel tratto di mare passano il 30 per cento delle merci mondiali.

Intanto a Gaza la situazione non conosce tregua: il numero di vittime è salito a quota 23.968, mentre il bilancio dei soldati israeliani morti dall’inizio dell’operazione militare via terra ha raggiunto i 188. Quanto al fronte settentrionale, è salito a 2 il bilancio delle vittime dell’attacco dei miliziani sciiti libanesi a Kfar Yuval: a perdere la vita una donna di 70 anni e suo figlio. Barak Ayalon, 45 anni, e sua madre Miri Ayalon, 76 anni, sono stati uccisi quando un missile anticarro si è schiantato sulla loro casa. 

L’attacco, partito dal Libano e diretto verso la città di Kfar Yuval, è avvenuto poche ore dopo che tre uomini armati libanesi erano stati uccisi in uno scontro a fuoco con l’esercito israeliano. Erano entrati nel nord di Israele sotto la copertura della nebbia prima dell’alba, mentre il lancio di razzi di Hezbollah e gli attacchi aerei delle forze di difesa israeliane continuano a incrociarsi nella regione di confine.

Hezbollah: Non abbiamo paura di entrare in guerra

Non abbiamo paura di andare in guerra con Israele: lo ha detto il leader degli Hezbollah libanesi, Hasan Nasrallah, in un discorso trasmesso in diretta tv da una località segreta. aSono gli israeliani che hanno paura di farci la guerra. Noi siamo sempre prontiA, ha aggiunto. «Continuiamo a combattere per evitare che Israele lanci una guerra contro il Libano», ha proseguito il leader di Hezbollah. «Le minacce del nemico non servono a nulla, non sono servite a nulla durante questi primi 100 giorni (di guerra) e non serviranno mai», ha aggiunto Nasrallah. L’unico modo per riportare la calma nel Mar Rosso, in Iraq e sul fronte tra Libano e Israele è quello di mettere fine all’aggressione di Israele contro la Striscia di Gaza. Nasrallah ha ribadito che fino a quando continueranno le operazioni militari israeliane sulla Striscia le forze filo-iraniane in Yemen, Libano, Siria e Iraq proseguiranno i loro attacchi.

Uno scontro fiscale tra Biden e Bibi

Ad aumentare la tensione tra Stati Uniti e Israele è invece una questione fiscale. In particolare il mancato trasferimento delle entrate fiscali che Israele effettua per contro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) nei territori occupati.

I finanziamenti sono stati bloccati dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, un esponente della destra israeliana che non perde occasione per danneggiare l’Anp di Abu Mazen che, in questo modo, non riesce più a pagare i suoi dipendenti e fornitori, perdendo quel che resta della sua già scarsa credibilità tra i palestinesi.

Lo scorso 28 dicembre Axios aveva dato la notizia di una furiosa telefonata, qualche giorno prima, tra il presidente americano Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Una telefonta che, dopo il rifiuto di Netanyahu di sbloccare i fondi, avrebbe portato all’interruzione dei già complicati rapporti tra i due.

Lo scorso 9 gennaio Antony Blinken ha rilanciato la richiesta americana. Ma Smotrich l’ha respinta nettamente. «Non trasferiremo all’Autorità palestinese neanche uno shekel che possa raggiungere le famiglie dei nazisti a Gaza», ha scritto su X.

Normalmente l’Anp non riceve entrate fiscali né da Gerusalemme Est né da Gaza, mentre spende un terzo del suo budget in queste aree, e riceve molto poco anche dall’area C (60 per cento del territorio della Cisgiordania). Due terzi delle entrate fiscali palestinesi vengono raccolte dal ministero delle Finanze di Israele che trattiene una quota rilevante a compensazione del fatto che le autorità locali della Cisgiordania ricevono servizi da Israele, come acqua ed elettricità.

Smotrich ha chiuso i rubinetti e sta strozzando quel che resta dell’autonomia finanziaria dell’Anp. Washington ovviamente, che sta puntando proprio sull’Anp di Abu Mazen per il dopo Hamas nella Striscia di Gaza, sta andando su tutte le furie. Ma Ramallah non ha altri soldi perché i contributi dei donatori internazionali sono passati dal 10 per cento del Pil di dieci anni fa a solo l’1 per cento attuale, a causa della delegittimazione progressiva dell’Anp.

L’Unrwa, l’agenzia Onu che provvede a scuola e sanità a Gaza, è in gravi difficoltà finanziarie. Insomma, un disastro “strutturale”.

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