Tanti cittadini kazaki continuano a chiamarla con il vecchio nome “Astana”, “la capitale” nella lingua locale, malgrado tre anni fa questa metropoli amministrativa di grattacieli neofuturisti misti a palazzine di epoca sovietica sia stata ribattezzata “Nur Sultan” (Sultano della luce), un omaggio all’ex presidente filorusso Nursultan Nazarbayev.

Dopo quasi trent’anni al potere il “leader della nazione” (“Elbasy”), che un po’ riluttante aveva traghettato il paese fuori dall’Unione sovietica verso la stagione dell’indipendenza, ha fatto un passo indietro nel 2019. E si è fatto da parte definitivamente lo scorso gennaio, quando per reprimere proteste e disordini su larga scala le autorità si sono affidate a forze di sicurezza inviate dalla Russia, con un bilancio di oltre 200 morti.

Ora il presidente Kassym Tokayev, organico dell’ancien régime ma ansioso di distanziarsene e rilanciare l’immagine del Kazakistan come democrazia liberale, annuncia l’inizio di una “Seconda repubblica”, e addirittura di un “Nuovo Kazakistan”.

A inaugurarlo sarebbe il referendum convocato domenica, quando oltre 11 milioni di kazaki sono stati chiamati a votare su alcuni emendamenti costituzionali che, sulla carta, indebolirebbero la presidenza e rafforzerebbero i contrappesi democratici. Con nuove prerogative al parlamento e alle autorità regionali e un divieto per i familiari del presidente di ricoprire ruoli nel settore pubblico – una stoccata al nepotismo imperante sotto Nazarbayev.

Piccolo primo passo?

«La riforma non risolverà tutti i problemi del paese, ma comunque è un primo passo e da qualche parte dobbiamo cominciare», dice Bulat Sarsenbayev, direttore del Centro Nazarbayev per il dialogo fra fedi e civilizzazioni, un istituto parastatale. Il centro sta organizzando un convegno di leader religiosi a Nur Sultan a cui a settembre è prevista anche la partecipazione del papa.

«A volte servono eventi dolorosi come quelli dei moti di gennaio per dare una scossa e spingere le società a fare passi avanti», commenta durante un incontro il baffuto e loquace ex diplomatico kazaco. Le proteste di gennaio, iniziate per l’aumento del prezzo della benzina in un paese ricchissimo di risorse naturali e petrolio (la benzina costa cinque volte meno che in Italia), si erano trasformate in una guerriglia di misteriose bande armate. Alcuni ufficiali oggi le associano a elementi revanscisti legati al vecchio regime, messi sotto controllo da Tokayev grazie all’intervento di Mosca.

«Dobbiamo partire da quanto di buono abbiamo fatto finora: nei primi trent’anni il governo ha saputo garantire crescita economica e pace sociale», continua Sarsenbayev sul referendum, nel quale tutti danno per scontato prevalga il “sì” alle riforme. «ll programma di borse governative Bolashak ha finanziato gli studi di una generazione di kazaki all’estero. E ora sono tornati».

Indifferenti e scettici

Sulle due rive del fiume Ishim, che segna l’inizio della parte nuova della città strappata alle steppe paludose e costruita alla velocità della luce negli ultimi vent’anni, la gente esce per le tradizionali scorpacciate di Beshbarmak, il piatto tipico a base di carne di cavallo. D’inverno le temperature scendono fino a meno 40 e non stupisce che la popolazione, per tre quarti musulmana, ignori le restrizioni sulle bevande alcoliche.

Prima delle bonifiche anche l’estate era invivibile: sulle strade calavano le peggiori zanzare di questa sterminata steppa dell’Asia centrale, che fa del Kazakistan il nono paese più grande al mondo e il più grande in assoluto senza accesso sul mare. La popolazione è di soli 19 milioni.

Ma fra gli avventori dei locali sul lungofiume in pochi sono al corrente del referendum che gli ambienti governativi descrivono come epocale. Si trovano anche scettici che citano meccanismi di potere su base tribale e familiare per liquidare la consultazione come uno “specchietto per le allodole”.

Il perché lo riassume in modo efficace Luca Anceschi, accademico dell’Università di Glasgow. «C’è un processo di de-nazarbayievizzazione ma la differenza con il vecchio corso è davvero scarsa», spiega l’esperto di Kazakistan. «Tokayev ha bisogno di un mito fondativo ma il regime fa selezione all’entrata. Decidono chi, come e quando può partecipare. Il referendum è operazione di chirurgia plastica: poco importa se poi se il parlamento viene rafforzato».

Incognita minoranza russa

A nord il Kazakistan confina con la Russia: è la seconda frontiera più lunga al mondo dopo quella fra Stati Uniti e Canada, e scorre ininterrotta per oltre 7.500 chilometri. In epoca sovietica Mosca aveva ritenuto il Kazakistan perfetto per i suoi esperimenti nucleari e per l’allestimento di tre importanti gulag – quello femminile di Alzhir, vicino la capitale Nur-Sultan, oggi è stato trasformato in un memoriale. I trascorsi sovietici rendono inevitabile che il conflitto in Ucraina si faccia sentire sul piano domestico del paese.

Al momento dell’indipendenza la popolazione di etnia russa si equivaleva all’incirca a quella kazaka, divenuta perlopiù russofona e dimentica della lingua delle steppe, ma poi si è rappicciolita fino a rappresentare il 20 per cento della popolazione. Oggi i nazionalisti kazaki spingono perché la lingua locale si imponga sul russo, e maltollerano le manifestazioni di solidarietà indirizzate a Vladimir Putin. Mettendo un punto interrogativo sulla convivenza che, finora, ha caratterizzato la breve storia del paese.

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