Kimmel torna e sfida Trump. Il presidente giura vendetta

Jimmy Kimmel è tornato in onda martedì sera dopo la sospensione del suo show su Abc, ha trattenuto le lacrime quando ha parlato di Charlie Kirk, ha duettato con Robert De Niro, ha fatto un appassionato appello alla libertà di parola e ha previsto che Donald Trump avrebbe continuato a usare il suo potere per silenziare la sua e altre voci. Previsione facile. Qualche ora dopo il programma, il presidente – che aveva intanto appena cambiato per l’ennesima volta la posizione del governo sul conflitto fra Russia e Ucraina – ha prodotto una minacciosa invettiva social: «Non posso credere che la Abc Fake News ha ridato il suo posto a Jimmy Kimmel. La Abc aveva detto alla Casa Bianca che il suo show era cancellato!», ha scritto il capo della Casa Bianca, costernato per l’inatteso cambio di rotta del network e della sua casa madre, Disney. «Perché questi vogliono riportare in onda uno che va così male, che non è divertente, e che mette a repentaglio il network proponendo al 99 per cento spazzatura democratica?». Kimmel «è un altro braccio del partito democratico», ha scritto Trump, prima di arrivare alla minaccia finale: «Penso che testeremo Abc su questo. Vediamo come ce la caviamo. L’ultima volta che mi sono scontrato con loro, mi hanno dato 16 milioni di dollari. Questo caso sembra anche più lucroso. Un vero gruppo di sfigati! Lasciate Kimmel marcire nei suoi pessimi ascolti». I 16 milioni di dollari si riferiscono al patteggiamento accettato da Paramount su un una causa intentata dall’amministrazione per pure ragioni politiche, e che il network si è risolto a pagare soltanto perché il governo doveva approvare un’acquisizione, e così il presidente non fa altro che promuovere la logica dell’uso del potere federale per ragioni politiche. L’ennesimo allarme sul clima di tensione che si respira negli Usa alla voce violenza politica e libertà di espressione è arrivato da Dallas, dove un uomo armato ha aperto il fuoco contro la sede locale dell’Ice, l’agenzia federale per l’immigrazione. Tre detenuti sono stati colpiti, almeno uno è morto e gli altri risultano feriti. Il sospetto si è tolto la vita con un colpo d’arma da fuoco. L’Fbi considera l’episodio un «attacco mirato», peraltro l’ultimo di una serie. Vicino allo sparatore sono stati trovati bossoli con scritte anti Ice, indizio di un possibile movente ideologico. Jimmy Kimmel e Antonella Clerici, eroi per caso La voce di Rogan È in questo clima che Kimmel ha attaccato la Casa Bianca in modo vibrante, spiegando che la pratica della censura è «antiamericana». Ha ringraziato le tante voci conservatrici che si sono levate per difendere il suo diritto di parola («è molto coraggioso da parte loro parlare contro questa amministrazione: lo hanno fatto e gliene va dato merito») e alla lista si è poi aggiunto anche Joe Rogan, il dominatore dei podcast nel lato destro del mondo, che ha detto: «Certamente non penso che il governo debba in qualche modo decidere cosa un comico possa o non possa dire in un monologo. Questa è una follia». Ma questa rara e limitata convergenza di vedute non ha cambiato la strategia dell’amministrazione. L’esecutore della volontà di Trump in questo ambito è Brendan Carr, capo della Federal Communications Commission (Fcc), regolatore delle telecomunicazioni trasformato per l’occasione in braccio politico del presidente. Carr ha lanciato pubblicamente un’intimidazione paramafiosa a Disney («possiamo risolvere questa cosa con le buone o con le cattive») e ha usato il suo potere coercitivo per portare Sinclair e Nexstar, i due principali distributori di Abc sulle frequenze locali, a continuare il boicottaggio di Kimmel anche dopo la riabilitazione di Abc. Le sorti economiche di queste aziende sono nelle mani dell'authority, si capisce che gli incentivi spingano verso l’obbedienza alla politica, e così martedì sera 66 emittenti non hanno trasmesso il ritorno del comico. E Carr nel frattempo ha esposto alcuni passi del piano di azione e intimidazione che Trump ha delineato per sommi capi. Il pretoriano-regolatore ha detto che la Fcc deve indagare sul contenuto politico del talk show “The Week” della Abc, fortemente sospettato di essere troppo critico nei confronti dell’amministrazione, e ha dichiarato di voler dare più potere alle stazioni televisive locali, in modo che possano bloccare i contenuti con i quali non sono d’accordo. Il destino economico delle emittenti affiliate dipende in larga misura dalle decisioni del regolatore, dunque non è difficile per Carr trasformare questa rete di compagnie con leve negoziali svantaggiose in zelanti esecutori della volontà del potere. Del resto la Fcc funziona in questo modo, e nei decenni tutte le amministrazioni, di qualunque colore, hanno usato i poteri del regolatore per valorizzare aziende e contenuti graditi e penalizzare quelli sgraditi. Il mondo Maga che Carr rappresenta è animato dalla convinzione che i democratici abbiano a lungo manipolato l’ecosistema dell’informazione – e la recente ammissione di Google di avere selezionato i contenuti sul Covid sulla base delle richieste del governo di Biden è un assiste perfetto – e quindi l’attuale spinta in senso contrario non è che il necessario ribilanciamento di una situazione iniqua. Disney ora riabilita Kimmel. Ma i distributori si ribellano Ascolti mai così alti «Ci sono molti democratici che sono impegnati in una campagna di proiezione di fantasie e distorsioni», ha detto Carr lunedì in conferenza stampa. «Stanno completamente falsando il lavoro della Fcc e quello che stiamo facendo in questa fase», ha detto, riproponendo il ritornello – inattaccabile se ci si limita alla lettera – secondo cui il mandato della Fcc è quello di servire l’interesse pubblico. «Se alla gente non piace, possono andare al Congresso e cambiare la legge», ha concluso. Mentre la battaglia continua, Kimmel è tornato sul palco, mostrando con un sapiente misto di dignità e furbizia le mostrine della vittima di un regime che soffoca e censura. Gli ascolti non sono mai stati così alti: tutto merito di Trump. Il caso Kimmel, i manipolatori della rabbia e la negazione del dissenso