Nel 1969 il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon fece visita a papa Paolo VI chiese e ottenne di atterrare con un elicottero su Piazza san Pietro: un gesto rumoroso per rivendicare qualcosa per sé davanti ad un papa che aveva rinunciato ad intestarsi il movimento per la pace. Mike Pompeo, il segretario di stato di Donald Trump, non ha voluto essere da meno.

Ha fatto precedere da un gesto ancor più fragoroso – la visita che farà in Vaticano il 29 settembre prossimo: ha infatti firmato un articolo su First Things, la rivista fondata nel 1989 da Richard John Neuhaus per affrontare e sfidare la cultura secolare in nome di una lealtà alla tradizione occidentale e dei valori pro-life. E’ un articolo senza precedenti. Perché attacca frontalmente la chiesa cattolica, colpevole di aver proseguito il dialogo diplomatico con la Repubblica popolare cinese per riconciliare i vescovi e le comunità.

Pompeo anziché vedere in quei passi un seme di pace, non dissimile da quello che segnò l’Ostpolitik del cardinale Agostino Casaroli, accusa la santa Sede di aver fornito copertura a una politica repressiva che passa dalla sterilizzazione forzata delle donne mussulmane, dall’abuso dei preti cattolici, dalla distruzione delle chiese protestanti «per subordinare Dio al Partito, e nel mentre promuovere Xi al rango di divinità ultramondana».

Le richieste sulla Cina

Per il capo del dipartimento di Stato il papato non può e non deve rinnovare l’accordo “temporaneo” (“provisional”) siglato due anni fa fra Santa Sede e Cina. Chiede anzi di denunciarlo e allinearsi all’amministrazione Trump che – a partire dalla interministeriale sulla libertà religiosa del luglio 2019 fino alla recente conferenza sull’avanzamento di quei diritti attraverso l’educazione promossa dal dipartimento di Stato e dall’ambasciatore Sam Brownback – ha usato la bandiera dei diritti religiosi come strumento propagandistico, utile a egemonizzare con iniezioni valoriali fondamentaliste una confrontation che vuole evocare, scaramanticamente, la guerra fredda.

Alla chiesa Pompeo domanda (o forse comanda) di reagire contro i regimi totalitari con la forza morale che ha ispirato sia «coloro che liberarono l’Europa centrale e orientale dal comunismo» sia «coloro che sfidarono i regimi autocratici e autoritari dell’America Latina e dell’Asia orientale» – nel nome della migliaia di vittime, come l’ex padre Bergoglio ricorda bene, di golpisti e squadroni della morte sostenuti dalle agenzie americane.

Il capo della diplomazia di Trump conclude ricordando alla Sede Apostolica (che per sé lo conosce) il magistero conciliare e pontificio sulla libertà religiosa come primo dei diritti civili e domanda con irrituale prepotenza che questa verità venga  “continuamente rinfacciata” ai cinesi in nome della verità: perché (citando Giovanni 8,32) conchiude con “la verità vi farà liberi”.

Un j’accuse inedito, che fa capire che Pompeo non si aspetta nulla dal papa e che dunque tanto vale “far casino” (come direbbe Bergoglio) e lasciare che il papa risponderà usando la stessa faccia ingrugnita con cui rovinò le foto della visita di Trump in Vaticano del maggio 2017: perché l’obiettivo di Pompeo è un altro ed è nascosto proprio nella ultima citazione: “la verità vi farà liberi” .

Il vero messaggio di Pompeo

Quel detto del vangelo di Giovanni è molto comune nel discorso cattolico:  per dire è lo stemma episcopale del cardinale Camillo Ruini. Ma a è anche l’incipit e il titolo (“veritas liberabit vos”) del manifesto lanciato a maggio da monsignor. Carlo M. Viganò e firmato anche dai cardinali Zen di Hong Kong, Pujats di Riga e Müller, già prefetto della dottrina della fede.

Un testo che, con una evocazione non casuale di stereotipi integristi, sostiene che la pandemia sia stata provocata per arrivare alla «realizzazione di un governo Mondiale fuori da ogni controllo», vera ossessione di tutto l’antisemitismo del Novecento e dei firmatari che con quel veleno flirtano.

Una allusione che sotto la penna di un altro potrebbe perfino essere causale e che sotto quella sorvegliatissima di Pompeo dice che quel messaggio e l’udienza del 29 non vogliono parlare né al segretario del partito comunista cinese Xi Jinping, né a Francesco né al segretario di Stato Pietro Parolin, ma all’elettorato cattolico americano.

Dopo il naufragio di Steve Bannon, nemico del papa e sostenitore del valore mediatico dei rosari sventolati da Salvini, l’amministrazione cerca strumenti per saldare cattolicesimo conservatore e destra evangelicale: un’antiabortista alla corte suprema, una strizzatina d’occhio al fondamentalismo biblico, e ora la difesa strumentale dei diritti della fede in nome di un anticomunismo e di una indulgenza per le destre.

Lo scopo è dare una valenza elettorale a quell’antibergoglismo che nella chiesa americana c’è, e che Trump deve intercettare nel momento in cui viene sfidato da un cattolico liberal come Joe Biden, uno dei rari frontrunner cattolici.

E così a ridosso del voto, per allinearsi a quei vescovi che propongono di negare la comunione al candidato democratico perché contrario ad una legislazione antiabortista, la diplomazia americana può ancora mettere nel mirino quella vaticana: chi mangia papa crepa, diceva un vecchio adagio romano; vedremo se vale anche per chi tenta di mordere i suoi collaboratori.

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