Il meccanismo escogitato dalla Casa Bianca per separare la compravendita delle opere d’arte di Hunter Biden dagli interessi politici del presidente è l’opposto della trasparenza promessa da un’amministrazione che si vanta di avere «gli standard etici più alti della storia americana»
- La settimana scorsa il Washington Post ha raccontato il meccanismo messo a punto dalla Casa Bianca per gestire in modo “sicuro” le compravendite delle opere d’arte del figlio del presidente, Hunter Biden.
- In pratica, l’asta delle opere, che partono da cifre fino a 500mila dollari, avverrà in un ambiente totalmente opaco e secretato. Né lui né la Casa Bianca conosceranno l’identità dei compratori dei suoi quadri.
- Con il pretesto di evitare che gli affari del figlio possano generare pressioni o ricatti sull’amministrazione, la Casa Bianca avalla un sistema che non impedirà a chi compra a caro prezzo le opere di Hunter di rendere pubblico l’acquisto, con tutte le conseguenze del caso.
Un portavoce della Casa Bianca ha scritto in una nota che l’amministrazione Biden ha «stabilito gli standard etici più alti di qualunque altra amministrazione nella storia americana» e ha citato come esempio pratico di questo vanto teorico il complicato meccanismo messo a punto dalla Casa Bianca per permettere a Hunter Biden, figlio del presidente, di vendere le sue opere d’arte all’asta organizzata dalla galleria Goerges Bergès di New York.
L’idea, semplicissima, l’ha raccontata per primo il Washington Post la settimana scorsa: le compravendite delle opere del giovane Biden avverranno in un ambiente totalmente opaco e secretato. Né lui né la Casa Bianca conosceranno l’identità dei compratori dei suoi quadri, e l’interessato si limiterà a ricevere bonifici anonimi per opere che partono da una base d’asta fra i 75mila e i 500mila dollari, cifre incredibili per un dilettante autodidatta che al culmine di una complicata carriera da lobbista e banchiere si è dedicato all’arte anche come forma terapeutica per uscire dalle dipendenze che lo hanno afflitto.
Qualche settimana fa un Picasso riemerso da un armadio nel Maine è stato venduto per 150mila dollari, tanto per avere un termine di paragone. Il senso dell’espediente per garantire l’anonimato di chi compra dovrebbe essere quello di evitare che l’acquisto di quadri di Hunter possa essere usato come strumento di pressione o per ottenere favori e accesso presso il padre Joe.
Di fronte alle domande dei giornalisti un’imbarazzata Jen Psaki, portavoce di Biden, ha detto che il figlio del presidente ha tutto il diritto di farsi una carriera da artista e che la strategia messa a punto «offre un certo livello di protezione e trasparenza» per l’amministrazione. Il concetto di trasparenza in questo caso è declinato in maniera piuttosto bizzarra, come ha osservato anche l’ex capo dell’ufficio etico di Obama, Walter Shaub, che ha definito la trovata della Casa Bianca «assurda e molto deludente».
Forse Hunter Biden non riuscirà davvero a risalire a chi ha speso cifre notevoli per quelle che il critico Jerry Saltz ha definito espressioni di «un generico formalismo post zombie», ma i compratori potrebbero tranquillamente far sapere a chi vogliono di avere in salotto un Biden originale, pezzo che varrà più per il cognome dell’autore che per l’opera in sé.
Nessuno potrà impedire a un lobbista cinese o un oligarca russo di far sapere, anche alla Casa Bianca, di avere generosamente finanziato il figlio del presidente, cosa che immediatamente aggirerebbe quello che la Casa Bianca presenta come uno schema raffinato ed eticamente inappuntabile per separare gli interessi artistici del figlio da quelli politici del padre.
La Casa Bianca dice che saranno analizzati rigorosamente i compratori “sospetti”, ma come riusciranno a individuare prestanomi, mediatori e acquirenti per conto terzi non è affatto chiaro. Quando la galleria ha annunciato che a ottobre avrebbe messo all’asta le sue opere il gallerista è stato inondato di chiamate di potenziali acquirenti pronti a fare versamenti eticamente irreprensibili senza nemmeno avere visto la merce. Un approccio curioso anche per il più spregiudicato dei mercanti d’arte.
Una soluzione radicale
La storia dei quadri di Hunter Biden contiene due elementi molto complicati, cioè i quadri e Hunter Biden. Il mercato dell’arte è teatro di affari nebulosi e si presta meravigliosamente ai traffici illeciti. La sottocommissione del Senato sulle indagini ha pubblicato l’anno scorso un report che mostra come gli oligarchi russi usino il mercato dell’arte come copertura per aggirare le sanzioni.
Il documento parla di un «ambiente maturo per il riciclaggio» e la segnalazione della commissione ha portato ad espandere anche al mondo dell’arte il raggio delle leggi sulla trasparenza finanziaria. Il secondo elemento è lo stesso autore, che è oggetto di un’inchiesta del dipartimento di Giustizia e di controlli dell’autorità finanziaria, dopo essere stato a vario titolo coinvolto o lambito da accuse per affari in Ucraina e con mediatori cinesi.
Anche gli osservatori più benevoli, quelli che si sono opposti alla versione trumpiana del giovane Biden come persona ricattabile o comprabile per ottenere dal vecchio Biden favori o accesso, hanno sempre ammesso che la sua presenza nell’orbita economico-finanziaria internazionale ha complicato le cose per il padre.
Adesso ci si mette anche l’asta di quadri a porte chiuse con il coinvolgimento dell’amministrazione. La soluzione semplice con cui la famiglia Biden potrebbe risolvere il problema alla radice l’ha suggerita Ben Davis sulla rivista Artnet: non vendere le opere.
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