La partecipazione del rappresentante di Xi Jinping, Li Hui, ai colloqui per fermare la guerra in Ucraina che, sabato e domenica scorsa, hanno riunito a Gedda 42 paesi, è stata accolta dal ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, come «una super svolta e una vittoria storica».

La Cina – che non ha mai condannato l’invasione lanciata un anno e mezzo fa da Vladimir Putin – non si era presentata alla conferenza di Copenaghen del 24 giugno scorso per promuovere i dieci princìpi per la pace di Volodymyr Zelensky.

C’era invece nel fine settimana nella città affacciata sul Mar Rosso dove – secondo fonti di Kiev – a essere discusso è stato unicamente il decalogo del presidente ucraino, che prevede il ritiro dei russi da tutte le aree occupate. E c’erano anche tutti gli altri membri dei Brics (Brasile, India e Sudafrica), esclusa la Russia.

Mosca ha stigmatizzato l’assise di Gedda – che per il ministero degli Esteri di Pechino è servita a «consolidare il consenso internazionale» – come un tentativo «fallimentare» dell’occidente di allineare i paesi del sud del mondo alle posizioni ucraine.

La Cina, secondo fonti europee, si è già dichiarata favorevole a un terzo round negoziale, che dovrebbe svolgersi nelle prossime sei settimane, in vista del “summit di pace” auspicato da Zelensky per la fine dell’anno.

Come è apparso sempre più evidente nelle ultime settimane, ormai il coinvolgimento della Cina è «benvenuto» dall’amministrazione di Joe Biden. Non si parla più di armi cinesi all’esercito russo. Ieri è arrivata la conferma che a Gedda funzionari del presidente Usa hanno avuto un «breve e produttivo dialogo separato» con l’inviato speciale di Pechino per l’Eurasia, Li Hui.

Il portavoce del Dipartimento di stato, Matthew Miller, ha dichiarato: «È stato produttivo che la Cina abbia partecipato, non parlerò dei dettagli, perché è stato un incontro riservato. Ma abbiamo pensato che fosse produttivo che venissero». Il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, e la vice segretaria di Stato, Victoria Nuland, attraverso Li hanno mandato a dire a Xi che «Washington accoglie con favore il ruolo produttivo di Pechino, se tale ruolo rispetta l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina».

Mentre nelle prossime settimane il negoziato andrà avanti, la Cina – dalla quale la Russia è sempre più dipendente economicamente – continuerà a rappresentare il paese che, più di ogni altro, è in grado di far digerire a Putin un compromesso. Tuttavia, se è lecito attendersi da parte cinese un atteggiamento sempre più “pacifista”, sarebbe illusorio sperare in una svolta di 180 gradi.

Cinesi respinti da Mosca

Il position paper in 12 punti per una «soluzione politica della crisi ucraina» presentato a febbraio dal ministero degli Esteri ha chiesto la ripresa dei colloqui di pace e il «rispetto della sovranità di tutti i paesi», ma anche delle «legittime esigenze di sicurezza» della Russia. Ad aprile poi è sopraggiunta la prima telefonata tra Xi e Zelensky, definita da quest’ultimo «lunga e significativa».

Chiaramente Pechino sta virando dalla “neutralità filo-russa” al “pacifismo filo-russo”. Un cambiamento che comunque preoccupa Mosca. L’incidente occorso alla frontiera russo-kazaka il 29 luglio scorso, dove cinque turisti cinesi sono stati interrogati per ore, maltrattati e respinti dalle autorità russe, suscitando il 5 agosto la protesta ufficiale dell’ambasciata cinese a Mosca, potrebbe essere rivelatore di tali inquietudini.

In questo senso possono essere lette anche le lunghe rassicurazioni che Wang Yi – il direttore della commissione Affari esteri del Partito comunista che ha assunto anche l’incarico di ministro degli Esteri dopo la misteriosa scomparsa di Qin Gang – ha rivolto al suo omologo russo. Cina e Russia sono «buoni amici e partner affidabili», ha sottolineato Wang nel corso della telefonata con la quale ieri ha riferito a Sergej Lavrov l’esito dei colloqui di Gedda.

Il numero nove della nomenklatura del Partito comunista ha aggiunto che Pechino «sosterrà una posizione indipendente e imparziale, farà sentire la sua voce oggettiva e razionale, promuoverà attivamente colloqui di pace e si sforzerà per cercare una soluzione politica in ogni occasione internazionale multilaterale».

Wang ha provato a tranquillizzare Lavrov anche sull’unità dei Brics, che «tengono il passo coi tempi, dimostrando una grande vitalità, mentre oltre 20 paesi hanno espresso la volontà di aderirvi, rendendo il processo della sua espansione agevole e imperativo».

Frontiera comune

Mentre discutono di pace con ucraini e statunitensi, i cinesi stanno portando avanti la terza esercitazione navale congiunta con i russi in acque internazionali a largo dell’Alaska, un’operazione seguita da vicino dalla marina militare statunitense e che il Wall Street Journal ha definito «una novità storica, altamente provocatoria».

La presenza di una dozzina di navi da guerra di Mosca e Pechino davanti all’arcipelago delle Aleutine serve alla Cina per ricordare a Washington che – proprio come le operazioni per promuovere la “libertà di navigazione” che la marina Usa conduce regolarmente nel Mar cinese meridionale e intorno a Taiwan, così la Cina ha un quasi-alleato con il quale sta rafforzando la cooperazione militare e l’interoperabilità attraverso esercitazioni a due passi dagli Usa.

Quella in Ucraina è una guerra lontana e la diplomazia cinese non può fare più di tanto per risolvere una questione che riguarda la sicurezza dell’Europa e gli interessi nazionali della Russia?

In realtà a Pechino vedono la questione della stabilità a Mosca come un problema che riguarda direttamente gli interessi nazionali e la sicurezza della Cina, che con la Russia condivide una frontiera di 4.200 chilometri.

Per questo motivo è probabile che gli sforzi di Pechino si intensificheranno, puntando a una soluzione che dovrà in qualche modo rispettare l’integrità del territorio ucraino ma che, nello stesso tempo, non dovrà essere punitiva né lesiva della sicurezza del quasi-alleato russo.

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