Per dispiegare la sua rappresaglia, il governo cinese ha atteso che nemici e amici fossero rientrati dalle rispettive missioni.

La presidente taiwanese Tsai Ing-wen da Los Angeles, dove ha incontrato lo Speaker della Camera dei rappresentanti, Kevin McCarthy; Emmanuel Macron da Pechino, criticatissimo per aver messo in dubbio che sia nell’interesse europeo «accelerare una crisi su Taiwan»; Ma Ying-jeou da Shanghai, primo ex presidente taiwanese ad aver visitato la Repubblica popolare, un “viaggio di pace” utilizzato dalla propaganda come contraltare a quello di Tsai negli Usa.

A quel punto, sabato scorso, sono scattate le esercitazioni dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) nello Stretto di Taiwan.

Si sono concluse ufficialmente lunedì, anche se ieri le navi cinesi continuavano ad accerchiare l’Isola. Nome in codice “Spada affilata”: tre giorni durante i quali undici corazzate (tra cui la “Shandong”, la prima portaerei “made in China”) e oltre cento sortite dei più moderni caccia con la stella rossa hanno circondato Taiwan dai quattro punti cardinali simulando attacchi postati sui canali WeChat dell’Epl.

Ancora una prova di blocco navale e aereo (con esercitazioni a fuoco vivo) dopo quella dell’agosto scorso. Tra l’una e l’altra, una pressione militare costante per indebolire Tsai e il suo Partito progressista democratico, attesi dalla prova delle elezioni del gennaio 2024.

Fine dell’ambiguità

Nel giro di pochi giorni, al secondo incontro in otto mesi di Tsai con rappresentanti delle istituzioni statunitensi, quello di più alto profilo dal 1979 per un leader taiwanese sul suolo Usa (con McCarthy e altri 17 parlamentari di entrambi gli schieramenti), è seguito il viaggio a Taiwan di una delegazione bipartisan di altri otto congressmen, guidata per la prima volta negli ultimi 44 anni da un presidente della Commissione affari esteri della Camera.

Michael McCaul ha assicurato che i missili anti aerei made in Usa, in ritardo a causa della guerra in Ucraina, arriveranno presto sull’Isola.

Tra war game di Pechino sempre più minacciosi e un sostegno via via più esplicito degli Stati Uniti a Taiwan va in frantumi il compromesso che, dal 1979, bene o male, aveva garantito la pace tra le due sponde dello Stretto.

Pechino difende a oltranza l’idea secondo la quale esiste “una sola Cina” – accettato dagli Stati Uniti 44 anni fa, quando riconobbero la Repubblica popolare cinese voltando le spalle a Taiwan) – uno dei pilastri della legittimità del partito comunista cinese, che dal 1949 non ha mai rinunciato a “riunificare”, se necessario anche con la forza, l’Isola dove istituirono il loro governo i nazionalisti sconfitti nella guerra civile.

Secondo l’interpretazione che la leadership cinese dà di questo “principio” (per gli Usa semplicemente una “politica”), chi negli ultimi decenni ha riconosciuto la Rpc come unica rappresentante ufficiale di tutto il territorio cinese (l’intera comunità internazionale, tranne 13 staterelli), non dovrebbe avere relazioni ufficiali con la democrazia taiwanese.

Sanzioni

Il governo cinese ha anche varato sanzioni contro la rappresentante di Taiwan negli Usa, Hsiao bi-khim, il think tank conservatore Hudson Institute e la biblioteca presidenziale “Ronald Reagan” di Simi Valley, in California, che hanno organizzato e ospitato il faccia a faccia Tsai-McCarthy della settimana scorsa.

Incontrando giovedì scorso Ursula von der Leyen, Xi ha avvertito la presidente della Commissione Ue che «è una pia illusione che la Cina possa fare concessioni su Taiwan» e «chi se le aspetta si dà una zappa sui piedi».

Su Taiwan tra Pechino e Washington è in corso un pericolosissimo dialogo tra sordi: da una parte l’aumento della pressione militare sull’Isola, dall’altra un cambiamento, unilaterale e non ufficiale, dei princìpi del “Taiwan Relations Act” del 1979, attraverso il sostegno all’indipendenza di Taiwan e forniture e assistenza militare sempre più sostanziose all’Isola.

Intervistato dalla Fox, il senatore Lindsey Graham ha invitato Washington a rompere con la “ambiguità strategica” e a dichiarare che gli Stati Uniti interverrebbero a difesa di Taiwan in caso di blocco navale o attacco da parte di Pechino.

Mentre il ministro degli Esteri, Joseph Wu, ha annunciato che entro la fine dell’anno potrebbe essere raggiunto un accordo con Washington per la creazione di un’area di libero scambio tra Taiwan e gli Stati Uniti. Di sicuro quelli che attendono l’Isola da qui al voto del 2024 saranno mesi molto difficili.

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