Chi gherim haitem be-eretz Mizraim, «perché una volta eravate voi stranieri in Egitto». Yonatan Moss, capo del Centro per lo studio del cristianesimo dell’università Ebraica di Gerusalemme, sceglie la citazione biblica sulla tolleranza per eccellenza nella sua introduzione al consesso accademico Perché (alcuni) ebrei sputano sui cristiani tenutosi ieri a Gerusalemme.

Tema: il numero crescente di piccoli atti di xenofobia nei confronti dei cristiani nella Città Santa, e in particolare dentro le mura della Città Vecchia, da parte di giovani religiosi israeliani. Graffiti, atti di vandalismo, insulti, spintoni, ma soprattutto, appunto, sputi. Di passaggio davanti alle chiese armene, verso i preti in transito sul selciato del quartiere cristiano, o verso persone la cui fede si manifesti in maniera ovvia nell’abbigliamento.

Yisca Harani, l’accademica israeliana responsabile della hotline dedicata agli incidenti, ex consulente sul mondo cristiano per il governo, mostra i video raccolti nella zona dove certo non mancano telecamere di sicurezza. E parla di un episodio d’intolleranza al giorno: un’impennata significativa quest’anno per un fenomeno non nuovo ma considerato, una volta, decisamente trascurabile. E che qualcuno associa all’atmosfera di intolleranza creata dal governo di estrema destra.

Polemica in giunta

«Questa conferenza è stata un avvenimento prima ancora di avere luogo», ha detto Karma Ben Yohanan, un’altra professoressa chiamata ad intervenire. Un’allusione alle frizioni della vigilia.

Moshé Leon, sindaco di Gerusalemme, avrebbe agito per vie informali per diffidare il museo della Torre di Davide, la location inizialmente prescelta, dall’ospitare l’iniziativa definita dal suo vice oltranzista Aryeh King «un evento antisemita» che «non si terrebbe in nessun altro paese». Anche il rabbino capo sefardita di Gerusalemme, Shlomo Moshe Amar, ha criticato la conferenza.

A poco è servito edulcorare il titolo, da Perché gli ebrei sputano sui cristiani a Perché (alcuni) ebrei sputano sui cristiani. Alla fine ad ospitare l’incontro è stato lo stesso patriarcato armeno. Proprio gli armeni sono fra i bersagli più frequenti degli sputacchiatori, in quanto si trovano sulla strada del Muro del Pianto molto battuta dai nazionalisti religiosi.

Il ministero degli esteri, la cui linea rimane quella di sminuire l’importanza del fenomeno, ha pubblicamente boicottato l’iniziativa. Yosi Havilio, un altro vice-sindaco di Gerusalemme, ha invece scelto di presenziare evidenziando una spaccatura all’interno della giunta. Così una conferenza imperniata su capziosi interrogativi accademici – il ruolo dello spunto nei testi religiosi ebraici, la rilevanza dell’atto ai fini della legge israeliana e via dicendo – si è trasformata in un evento mediatico.

Spirale di attacchi

Gli episodi di quest’anno, catalogati da Harani, iniziano con la profanazione di trenta tombe in un cimitero protestante sul Monte Zion compiuta da due teenager israeliani lo scorso gennaio. Un mese esatto più tardi è la volta dell’abbattimento di una statua di Gesù presso la chiesa della Flagellazione sulla Via Dolorosa (in quel caso il responsabile viene identificato con un ebreo americano).

«Benvenuti nella nuova Israele che odia i cristiani, con l’incoraggiamento e il sostegno dell’attuale governo!», aveva commentato su Twitter Nikodemus Schnabel, un rappresentante cristiano locale. Anche padre Francesco Patton, custode dell’ordine Francescano in Terra Santa, era intervenuto: «on è un caso che la legittimazione della discriminazione e della violenza nell’opinione pubblica e nell’attuale contesto politico israeliano si traduca anche in atti di odio e di violenza contro la comunità cristiana».

A inframmezzare gli incidenti più eclatanti le tante aggressioni minori: le sedie lanciate contro il ristorante armeno, i graffiti minacciosi sul Monastero armeno della città vecchia, le piccole colluttazioni di strada. Sullo sfondo anche tensioni legate alle attività di organizzazioni estremiste ebraiche come Ateret Cohanim, che agiscono per promuovere la presenza ebraica nella città vecchia acquistando immobili alle spese di altre denominazioni.

Già in occasione del Natale 2021 una lettera firmata da «i patriarchi e i capi delle chiese di Gerusalemme» aveva paventato un «tentativo sistematico di cacciare la comunità cristiana».

Polemica con gli evangelici

Aryeh King

Aryeh King, il vicesindaco di estrema destra popolare grazie alla fama di uomo del fare, si è di recente fatto interprete della polemica contro i cristiani. Lo scorso 28 maggio era nel gruppo di contestatori che hanno cercato di impedire un incontro di evangelici americani presso il Centro Davidson, vicino al Muro Occidentale, accusandoli di proselitismo e di idolatria. Dieci gli arresti fra insulti, sputi, spintoni e finestre in frantumi.

«Qualcuno può immaginare che agli ebrei sia permesso tenere una preghiera di massa all’ingresso del Vaticano o della piazza della chiesa del Santo Sepolcro?», ha chiesto King.

La polemica nei confronti degli evangelici tocca un nervo scoperto anche all’interno dell’ultra-destra israeliana. Da un lato è noto il ruolo decisivo delle congregazioni nell’orientare la politica sul conflitto israelo-palestinese in paesi chiave, in primis ma non solo negli Stati Uniti. E nel finanziare organizzazioni e iniziative israeliane anche all’interno dei territori occupati.

Dall’altro è noto anche il fondamento ideologico della linea smaccatamente filo-israeliana dei religiosi: riprodurre le condizioni della venuta del messia, ricostituendo in Palestina una presenza ebraica, sarebbe nella loro visione mistica propedeutico ad accelerare una seconda venuta di Cristo. Dopodiché agli amici semiti toccherebbe o la scomparsa o la conversione.

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