Il Giappone e la Corea del Sud sono un po’ più vicini da quando, nelle ultime ore, il governo di Seul ha reso pubblico il proprio piano per mettere fine alla controversia che ormai da cinque anni divide le due democrazie dell’Asia orientale, nonché alleate degli Stati Uniti. Al cuore della disputa però non ci sono le grandi rivalità geopolitiche che si sentono nominare altrove. Nel caso di Giappone e Corea del Sud la disputa è più sottile, personale e in un certo senso onnipresente, poiché riguarda la memoria storica condivisa dai due paesi.

L’impero giapponese è infatti la bestia nera della storia contemporanea coreana. All’inizio del secolo scorso, il Giappone ha annesso l’intera penisola come colonia del proprio impero. La dominazione è durata dal 1910 al 1945, quando le truppe statunitensi da sud e quelle sovietiche da nord hanno liberato il paese. Quei trentacinque anni però sono stati un momento traumatico per la coscienza collettiva dei coreani che, oltre ai tentativi di soppressione culturale da parte delle autorità imperiali giapponesi, sono stati vittime di atroci crimini. Tra questi, la costrizione di centinaia di migliaia di coreani ai lavori forzati in fabbriche giapponesi soprattutto dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

La vicenda non si è chiusa con la liberazione del paese dalla dominazione coloniale. Molti sudcoreani ritengono che non si sia ancora fatta giustizia per le vittime dei crimini commessi dai giapponesi e che i governi di Tokyo non abbiano mai espresso un sincero rimorso per quando compiuto durante l’occupazione della Corea.

Le ripetute visite da parte di membri del governo giapponese al santuario di Yasukuni, dove riposano anche le anime di molti criminali di guerra, in effetti lasciano qualche dubbio sulle convinzioni diffuse nella dirigenza di Tokyo.

Colpevoli a giudizio

Le autorità sudcoreane negli ultimi decenni hanno provato con crescente determinazione a portare in giudizio i colpevoli. Nel 2018 la Corte suprema di Seul ha emesso una sentenza storica che ordinava a due società giapponesi, Nippon Steel e Mitsubishi Heavy Industries, di ripagare 15 vittime sudcoreane per averle obbligate ai lavori forzati durante la guerra.

Davanti al rifiuto delle due società, le autorità giudiziarie ne hanno predisposto il congelamento degli asset e si apprestavano a liquidarli per compensare le vittime quando nel 2019 Tokyo ha lanciato pesanti ritorsioni economiche contro la Corea del Sud, rimuovendo il paese dalla lista dei partner commerciali privilegiati e soprattutto introducendo nuove restrizioni all’export di materiali fondamentali per l’industria dei microchip.

Dal punto di vista giapponese la sentenza sarebbe illegittima, poiché la questione del periodo coloniale si è conclusa «completamente e definitivamente» col trattato di normalizzazione del 1965. In quell’occasione, il Giappone riconobbe la propria responsabilità nei crimini commessi e versò abbondanti contributi al governo sudcoreano, che però non li utilizzò per compensare le vittime bensì per sostenere l’industrializzazione del paese.

La proposta presentata da Seul, dopo lunghi mesi di discussione con Tokyo, riguarda la creazione di una fondazione che sarà incaricata di compensare le vittime. Contrariamente a quanto stabilito nella sentenza le due società giapponesi non saranno obbligate a ripagare le vittime, ma il contributo sarà versato volontariamente e l’importo sarà stabilito autonomamente da Nippon Steel e Mistubishi. Oltretutto, saranno invitate a partecipare anche quelle aziende sudcoreane che beneficiarono del sostegno finanziario giapponese dopo il 1965.

Rapporti economici

Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha dichiarato che «l’annuncio tra molte difficoltà di una soluzione riguardo la sentenza sui lavori forzati è una decisione di muoversi verso una relazione col Giappone orientata verso il futuro». Sulla proposta di Seul pesano molto la determinazione di Yoon a rilanciare i rapporti economici col Giappone e l’intenzione di creare un fronte quanto più ampio e solido possibile davanti alle minacce missilistiche nordcoreane.

L’esito della proposta però non è per nulla scontato, perché a molti sudcoreani appare come una resa. Riconoscendo implicitamente il punto di vista giapponese sulla vicenda, secondo una parte dell’opinione pubblica Yoon ha sacrificato il diritto alla giustizia delle vittime e ceduto al ricatto di Tokyo. Alle domande critiche dei giornalisti il ministro degli Esteri ha risposto affermando che «il bicchiere è mezzo pieno» e che a riempire il resto ci penserà il Giappone. Ma l’opposizione, che oggi ha la maggioranza in parlamento e potrebbe ostacolare sostanzialmente questa soluzione, non si placa e il suo leader accusa Yoon di aver «tradito la giustizia della storia».

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