Gli Stati Uniti avrebbero tenuto colloqui segreti con l'Iran per sollecitare la fine degli attacchi Houthi nel Mar Rosso che stanno destabilizzando il traffico marittimo diretto nel canale di Suez e di cui l’Italia è uno dei paesi maggiormente danneggiati.

Secondo il quotidiano britannico Financial Times, Washington starebbe cercando di convincere Teheran (un tempo il bastione americano nell’area) a usare la sua influenza sugli Houthi dello Yemen (che non sono un’etnia ma una formazione politica di religione sciita) per porre fine agli attacchi alle navi occidentali nel Mar Rosso.

Le navi commerciali cinesi passano invece indisturbate. I negoziati durante i quali Washington avrebbe anche espresso preoccupazione per l'espansione del programma nucleare iraniano (che non viene più monitorato dagli ispettori dell’Aiea, l’agenzia atomica dell’Onu con sede a Vienna), si sarebbero svolti in Oman a gennaio e sarebbero stati i primi tra i due paesi in 10 mesi.

In realtà l’amministrazione Biden ha sempre tenuto canali di comunicazione aperti con l'Iran per evitare che dal conflitto di Gaza si possa propagare una tempesta in tutta la regione.

L’ombra del Cremlino

Questo è il vero timore della Casa Bianca, che ha sempre dosato le ritorsioni militari nei confronti degli attacchi subiti dalle sue truppe stanziate in Iraq e in Siria da formazioni sostenute dagli ayatollah di Teheran per evitare l’escalation.

Washington ha anche proposto la fine parziale delle sanzioni se Teheran cessasse di rifornire di droni la Russia e uscisse gradualmente dall’ombra del Cremlino.

L’Iran non ha mai accettato di creare un casus belli con gli Usa nel ricordo dello scontro del 18 aprile 1988, quando la Marina degli Stati Uniti lanciò l'operazione “Praying Mantis” contro obiettivi iraniani nel Golfo Persico come rappresaglia per aver colpito la nave americana Samuel B. Roberts.

Nell’operazione durata un solo giorno, la Marina americana distrusse infrastrutture di sorveglianza, affondò due navi da guerra iraniane e ne danneggiò gravemente un’altra.

Da quel momento l’Iran saggiò la potenza di fuoco americana e decise di non affrontare direttamente mai più le forze armate americane, bensì di utilizzare forze amiche come Hezbollah in Libano, Hamas (sebbene sunniti) a Gaza e gli Houti nello Yemen nella convinzione strategica che prima o poi Washington, che ha raggiunto l’indipendenza energetica grazie allo shale oil e gas, deciderà il ritiro dal Medio Oriente lasciando l’onere della difesa dei paesi amici del Golfo ad Israele, trasformato dagli accordi di Abramo in gendarme regionale in funzione anti-iraniana.

Anche l'omicidio del generale delle guardie rivoluzionarie dei Pasdaran, l'esercito ideologico della teocrazia islamica, il comandante Qasem Soleimani, avvenuto a gennaio 2020 all’aeroporto di Baghdad per opera di un drone su ordine di Donald Trump, non ha provocato ritorsioni significative da parte iraniana che ha preferito proseguire nella "guerra d'ombra" regionale contro il “Grande Satana” secondo la formula di Khomeini.

Teheran smentisce 

Lo scambio indiretto di messaggi tra Iran e Stati Uniti non riguarda gli attacchi contro le navi commerciali nel Mar Rosso ma soltanto il rilancio dell'accordo sul nucleare del 2015, noto come Jcpoa, ha detto una fonte all'agenzia iraniana Irna negando quanto riportato dal Financial Times.

Secondo la fonte iraniana «i colloqui indiretti sono stati dedicati al negoziato per rimuovere le sanzioni contro l'Iran», nell'ambito di un possibile rilancio del Jcpoa, da cui gli Usa si sono ritirati nel 2018, imponendo sanzioni contro Teheran, per decisione dell'ex presidente americano Trump.

Insomma Teheran resta defilata per il timore di rappresaglie e perché continua ad avere molto poco da perdere nel Mar Rosso visto che non ha bisogno di proteggere il proprio traffico marittimo, né quello di navi estere dirette in Iran. Ma a volte le marionette sfuggono di mano ai burattinai che poi ne pagano le conseguenze.

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