In Alsazia l’hanno accolto con lo slogan “dimettiti” ed è sembrato patetico il suo tentativo di andare incontro ai manifestanti per stringere mani che si ritiravano al suo passaggio. In Occitania, dove doveva parlare di scuola e di aumento degli stipendi del 10 per cento per gli insegnanti, si erano radunati già ore prima del suo arrivo per preparargli la stessa accoglienza.

Dal nord-est al sud-ovest della Francia si sta rivelando un Calvario la processione di Emmanuel Macron nel tentativo di riallacciare un rapporto con il suo popolo. Né gli va meglio a Parigi. Lunedì scorso si è imbattuto mentre passeggiava con Brigitte in un gruppo di ragazzi bretoni di un gruppo cattolico tradizionalista che gli hanno chiesto di cantare con loro la canzone Le Refuge seguendo le parole sulla app “Canto” fondata da militanti dell’estrema destra radicale. Immaginabili le conseguenti polemiche.

Se i francesi si incazzano

È successo subito dopo il discorso alla nazione nell’ora dei telegiornali della sera, un evento un tempo, stavolta un appuntamento poco più che sopportato e snobbato dai molti che sono andati in piazza o si sono sporti dai balconi per battere sulle pentole in segno di dissenso.

Macron ha detto di avere sentito la collera dei concittadini per la riforma delle pensioni e ha rilanciato con un “programma dei cento giorni” di napoleonica memoria fondato su tre pilasti, lavoro giustizia e progresso, senza risultare convincente. Mentre all’orizzonte c’è la grande mobilitazione contro di lui del primo maggio. Una sorta, negli annunci, di un altro maggio francese.

Si sa cosa succede quando i francesi “s’incazzano” per usare la proverbiale espressione della canzone di Paolo Conte. Anche i più bellicosi tra di loro ammettono seppur a denti stretti che non è tanto la nuova legge (alza l’eta per avere diritto all’assegno dai 62 ai 64 anni) in qualche modo necessaria per l’equilibrio del sistema.

Non ce l’hanno con il Consiglio Costituzionale che l’ha approvata, non poteva fare altrimenti vincolato com’è dall’articolo 49.3 della Costituzione, quello che ha permesso alla premer Élisabeth Borne di far passare le nuove norme senza il voto del Parlamento. Dunque non è una rivolta contro un allineamento dei poteri dello stato evocata su queste pagine da Nadia Urbinati

Ce l’hanno proprio con l’inquilino dell’Eliseo, dopo sei anni di promesse e di aspettative andate deluse.

Le promesse di Macron

Emmanuel Macron fu eletto, primo mandato, nel 2017 per arginare la montante Marine Le Pen e nonostante i dubbi sulla sua biografia, un rappresentante dell’élite con una carriera alla banca Rothschild. Cercò di fugarli con la famosa battuta per la quale, essendo diventato molto benestante, si poteva permettere di essere scevro da qualunque condizionamento da parte del mondo dell’economia e della finanza.

Eppure da subito sconfessò se stesso abolendo parte dell’Isf, l’imposta sulle grandi fortune, anche nota come tassa per i ricchi, varata da Mitterrand e che garantiva all’erario entrate per quattro miliardi di euro. Nelle sue speranze quel denaro sarebbe stato reinvestito dai capitalisti graziati nelle loro imprese favorendo l’occupazione. Non è successo.

Era il varo, in realtà, di una politica di stampo liberista molto consona alle sue idee in campo economico, assai fiduciosa nella mano regolatrice del mercato. Risultato: i ricchi sono diventati più ricchi, lo 0,1 per cento degli ultraricchi oggi ha visto aumentare il proprio patrimonio del 25 per cento e incassa un terzo dei capital gain (sei anni fa era un quinto). Le sue leggi finanziarie sono andate di conseguenza, premiando i redditi medio alti e penalizzando i ceti meno abbienti.

La goccia

Per contro i poveri sono diventati sempre più poveri per una contrazione drastica di quel welfare a cui i francesi sono affezionati almeno quanto gli italiani. È stato dimezzato l’assegno di disoccupazione. La cancellazione dei piccoli ospedali, il taglio di molte linee secondarie delle ferrovie così come delle stazioni di gendarmeria ha obbligato la Francia rurale ad avere l’assoluto bisogno di auto per gli spostamenti.

L’esplosione degli aumenti dei carburanti ha innescato la protesta dei gilet gialli. La transizione ecologica cara al presidente impone l’acquisto di vetture elettriche in cambio di quelle inquinanti, la ristrutturazione di edifici per rendere le case ecologiche, costi insostenibili per le classi popolari e persino quelle medie.

Così una riforma inevitabile come quella delle pensioni, tema peraltro da sempre delicato Oltralpe, ha finito per essere la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo. E fatto arrivare al pettine i nodi per un presidente che, se non ha ostentato la ricchezza bling-bling come un suo predecessore, Sarkozy, ha troppo a lungo strizzato l’occhio e favorito quella piccola percentuale di privilegiati che non ne aveva bisogno.
 

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