battaglia mediatica

La guerra a Gaza si combatte anche nella narrazione social

  • In tempo di guerra la propaganda è uno strumento usato per legittimare le azioni dei governi e fornire una narrazione, a volte distorta, del conflitto. Un tempo le radio nazionali trasmettevano a reti unificate messaggi dei presidenti e capi di governo che fornivano aggiornamenti su cosa accadeva al fronte. Oggi la comunicazione di guerra passa attraverso gif, emoji, video e foto postate sui social network direttamente dagli account ufficiali delle forze armate nazionali.
  • Per comprendere la caratura dell’impianto mediatico delle Forze armate israeliane basta leggere il nome dato all’operazione militare partita lo scorso 10 maggio: “Guardian of the Walls”. Questo richiama sia al Muro del pianto, quindi vede l’esercito come il guardiano di uno dei luoghi più sacri per gli ebrei, ma fa anche riferimento al muro che circonda la Cisgiordania. Infatti, la questione territoriale è la più sentita e il nome “Guardiano delle mura” assume una valenza simbolica per gli israeliani, ed è vista, invece, come una provocazione per i palestinesi.
  • I tweet rispondono colpo su colpo anche alle condanne della comunità internazionale che in questi giorni ha chiesto più volte di limitare le vittime civili. Stando agli ultimi dati del ministero della salute palestinese sono 65 i bambini rimasti uccisi nei raid dell’aviazione israeliana. Per cercare di scrollarsi di dosso le critiche internazionali l’esercito ha pubblicato video in cui si vede l’evacuazione dei civili prima dei bombardamenti.

 

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