Quattro milioni di siriani rischiano la fame a causa del restringersi del meccanismo degli aiuti delle Nazioni unite. La guerra in Ucraina rende difficile l’accordo tra occidentali, turchi e russi al Palazzo di vetro: per ora il permesso al passaggio degli aiuti a nord est è rinnovato per soli altri sei mesi, e una parte dovrà transitare obbligatoriamente per le aree controllate dal governo di Damasco.

È proprio ciò che non vogliono i paesi che riforniscono la zona di Idlib, controllata dai turchi. Se non avrà soddisfazione Mosca metterà il veto, bloccando del tutto l’entrata delle derrate alimentari che tengono in vita milioni di siriani sfollati. Il punto di passaggio degli aiuti è il valico di Bab al-Hawa, da cui ogni mese transitano circa 800 camion che consentono agli aiuti delle Nazioni unite di fluire a Idlib, roccaforte dei resti della Sirian Liberation Army e dei jihadisti di Hts (Hayat Tahrir Al Sham), legati ad al Qaida.

La risoluzione Onu tiene in vita la possibilità di ingresso degli aiuti umanitari da aree fuori il controllo del governo siriano. In quella medesima zona è cresciuta in questi mesi una grave crisi sociale ed economica legata anche all’inflazione turca. Se il flusso di aiuti rallentasse o si fermasse, molti profughi rischierebbero la fame, la malnutrizione e la mancanza di acqua pulita. Già un bambino su tre soffre di malnutrizione e molti minori fanno affidamento sull’alimentazione resa possibile solo grazie all’Onu.

Una crisi dimenticata

Le altre crisi globali, tra cui principalmente quella ucraina, hanno tolto centralità alla vicenda che dall’esterno potrebbe sembrare senza sorprese. La realtà è più complessa: da una parte si teme un attacco turco contro la zona limitrofa controllata dai curdi, ciò che causerebbe un nuovo drammatico esodo. Dall’altra la Russia sta premendo a New York perché cessino gli aiuti Onu “indipendenti” dal governo siriano ufficiale. La Turchia potrebbe provvedere da sola all’afflusso degli aiuti umanitari verso Idlib ma non vuole farlo: la presenza delle Nazioni unite dà una parvenza di formalità alla sua presenza nel nord Siria. Inoltre Ankara è alle prese con una crisi economica interna abbastanza forte, tanto da non potersi accollare del tutto il sostentamento della sua area di competenza in Siria.

Presi in tenaglia da questa diatriba politico-umanitaria stanno circa 4,3 milioni di civili, di cui 1,5 milioni che vivono nei campi nel nord-ovest della Siria e che attendono di sapere la loro sorte. Le autorità umanitarie affermato che oltre il 43 per cento dei residenti nei campi soffre di carenza d’acqua mentre oltre il 79 per cento è alle prese con l’insicurezza alimentare a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, che porta migliaia di famiglie a scivolare nella povertà assoluta.

Oil for food

Nessuno si fida del governo di Damasco e se gli unici aiuti possibili potranno provenire soltanto da sud chiudendo il valico di Bab al-Hawa, si pensa che sarà facile per l’esercito lealista di Assad prendere in ostaggio tutta la zona. D’altronde sono mesi che la pressione militare governativa siriana su Idlib è forte, tenuta a bada solo dalla presenza turca.

Oltre al cibo dal valico entrano anche materiale igienico-sanitario, attrezzature logistiche e aiuti medici. Se questo flusso si arrestasse sarà facile immaginare una fuga dei rifugiati verso la Turchia mentre Ankara sta al contrario cercando di riportare altri siriani nel loro paese. Con l’appoggio di alcune compagnie petrolifere anglo-americane, qualcuno sta proponendo di riproporre anche per la Siria lo schema “oil for food” che è stato utilizzato in Iraq all’epoca di Saddam.

Sarebbe un modo per distribuire più aiuti a tutti e nel contempo aumentare la produzione di petrolio siriano, ora molto ridotta. Anche Damasco potrebbe trovarci una convenienza. Ma il ricordo che ha lasciato l’esperienza irachena del programma inventato dalle Nazioni unite non è buono, perché causò corruzione e alla fine ha aiutato quel regime a stabilizzarsi. Inoltre la vera differenza è che in Iraq la guerra era finita, almeno in in quella fase, mentre in Siria è de facto ancora in corso.

La questione alimentare investe tutto il paese: a più di un decennio dall’inizio del conflitto, circa il 60 per cento dell’intera popolazione siriana è considerata insicura dal punto di vista alimentare. Inoltre l’attuale carenza globale di grano ha aggravato il problema a causa dell’aumento del costo degli alimenti di base che ha provocato: in Siria oltre il 60 per cento negli ultimi tre mesi. Dal 2011 ad oggi la Russia ha minacciato di usare il veto al consiglio di sicurezza su più di una dozzina di risoluzioni sulla Siria. Ora si dice intenzionata a chiudere il valico perché mina la sovranità della Siria e tra sei mesi la questione sarà di nuovo sul tavolo.

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