Dopo anni di equidistanza tra imprenditori e lavoratori, alla Casa Bianca c’è un presidente come Joe Biden che non ha esitazione a dire: sono dalla parte dei sindacati. Eppure, le sue azioni in questo senso hanno non poche ambiguità, a cominciare dal suo difficile rapporto con lo United Auto Workers (Uaw), l’organizzazione che riunisce quasi 400mila lavoratori dell’industria automobilistica.

Non è la prima volta che alle parole del presidente non seguono i fatti: alla fine del 2022 impose ai sindacati del settore ferroviario un accordo votato dal Congresso, una misura estrema per evitare uno sciopero che, a pochi giorni dalle festività natalizie, avrebbe avuto conseguenze devastanti sull’economia americana. Oggi c’è un altro sciopero imminente, se le trattative tra le parti non dovessero andare a buon fine: a complicare la situazione c’è anche il futuro dei veicoli elettrici.

Le richieste dei sindacati alle cosiddette “Big three” dell’auto, ovvero Ford, General Motors e Stellantis riguardano la richiesta di un aumento del 40 per cento degli stipendi entro i prossimi quattro anni (stesso rialzo che i dirigenti delle case automobilistiche hanno avuto nello scorso quadriennio). Non solo però nel tradizionale settore delle auto a combustione interna, ma anche nei veicoli elettrici. E qui viene fuori un altro dei motivi di frizione, come esplicitato dal presidente del sindacato Shawn Fain. Quando lo scorso agosto 2022 è stato approvato l’Inflation Reduction Act, un pacchetto legislativo che comprende vari provvedimenti, tra cui vari incentivi economici e finanziamenti federali per la realizzazione di macchine elettriche, che a detta di Biden sarebbero state costruite da “lavoratori sindacalizzati e ben pagati”.

Condizione che però non è stata rispettata: i finanziamenti sono partiti senza che alle aziende venisse richiesto di rispettare alcuni standard riguardanti i salari e il benessere dei lavoratori. E sembra che le Big Three non abbiano intenzione di cedere sul punto, preferendo puntare su un generoso aumento salariale del 30% per le fabbriche tradizionali, puntando sul fatto che l’accordo verrà respinto dai vertici sindacali, ma potrà venire accettato qualora venisse sottoposto a referendum. Uno scontro che al momento non lascia presagire nulla di buono, con l’Uaw che si prepara ad attingere al suo patrimonio per pagare chi si impegnerà in uno sciopero che si preannuncia lungo.

Non per il presidente Biden però: per lui non ci sarà nessuno sciopero, secondo le sue dichiarazioni dei giorni scorsi. Una presa di posizione che non è affatto piaciuta a Fain, che ha subito detto che il negoziato è ancora lungo. Una risposta che testimonia come la freddezza dell’Uaw venga da lontano: risalta molto il fatto che, mentre diciassette sigle sindacali hanno già annunciato lo scorso giugno l’endorsement per la rielezione del presidente, l’Uaw non lo ha ancora annunciato. E forse potrebbe non arrivare mai il sospirato appoggio.

Una rottura storica, se si pensa che a partire dagli anni ’50 l’Uaw è stato un alleato chiave dei democratici per costruire una duratura egemonia in stati come il Michigan, la Pennsylvania e l’Ohio. Sotto la presidenza di Walther Reuther, il sindacato dell’auto divenne una delle componenti della coalizione vincente che portò il presidente John Fitzgerald Kennedy alla presidenza. E il sindacato sperimentò per primo alcune politiche che sarebbe state varate negli anni ’60: fu la prima sigla ad accettare senza condizioni l’adesione dei lavoratori afroamericani, anche negli stati del Profondo Sud, dove l’Uaw aveva tentato invano di affermare la propria presenza. Il ruolo del sindacato, pur marginalizzato negli ultimi anni, ha comunque svolto un ruolo nel salvataggio del settore automobilistico durante il primo mandato di Barack Obama.

E negli ultimi quindici anni si è aperto anche all’adesione di lavoratori provenienti da settori molto lontani, sin da quando nel 2008 venne aperta una sezione all’interno dell’Università della California aperta all’adesione dei ricercatori accademici precari. Insomma, non ci sono solo i vecchi colletti blu dentro l’Uaw. Perderli adesso vorrebbe dire esporre centinaia di lavoratori e le loro famiglie alle lusinghe di Donald Trump, che non ha esitato a criticare i finanziamenti dell’amministrazione Biden alla transizione ecologica, affermando che “minacciano” il benessere delle loro famiglie.

Si rischia insomma che la maggioranza degli operai dell’auto decidano di stare a casa il giorno delle elezioni del 2024, portando quindi a una ripetizione della vittoria trumpiana nei medesimi stati chiave che portarono l’ex presidente a trionfare nel 2016: Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. A meno che Biden non si schieri apertamente dalla parte del sindacato, mossa che però rischierebbe di alienargli la parte moderata del suo elettorato. Una situazione che, a seconda di come andranno le trattative, potrebbe avere effetti dirompenti.

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