Il crescendo di colpi di scena che ha dato l’abbrivio alla campagna per le presidenziali e politiche evidenzia la straordinaria importanza che le elezioni del 13 gennaio avranno per la giovane democrazia taiwanese e per le relazioni sino-statunitensi.

L’estenuante trattativa per un candidato comune alla guida dell’Isola tra l’immarcescibile Kuomintang (Kmt) e il Partito popolare (Tpp) fondato cento anni più tardi, nel 2019, è naufragata venerdì, a poche ore dall’ufficializzazione delle liste, tra urla e accuse incrociate in diretta tv. Hou Yu-ih e Ko Wen-jie, a ognuno dei quali i sondaggi attribuiscono il 27 per cento, correranno separati.

L’indipendente Terry Gou si è invece ritirato all’ultimo istante. Secondo il Partito progressista democratico (Dpp) al potere negli ultimi otto anni, a convincere il magnate dell’industria elettronica è stata la multa per evasione fiscale (del valore, simbolico, di 20.000 yuan) che le autorità di Wuhan hanno spedito alla sua Foxconn, presente in Cina con una dozzina di mega stabilimenti.

Di fatto un “invito” a farsi da parte - accompagnato dall’esortazione alle compagnie taiwanesi a «promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni pacifiche tra le due sponde dello Stretto», per non frammentare un’opposizione favorevole al dialogo con Pechino, ma divisa su tutto il resto.

Attivista per i diritti

Sarà dunque corsa a tre, con William Lai (Dpp) in testa con circa il 30 per cento dei voti virtuali, e caccia grossa al 10 per cento delle preferenze di cui era accreditato Gou. Proprio dall’attuale vice della presidente Tsai Ing-wen è arrivata un’altra novità clamorosa, con la scelta come “running mate” (e vice presidente, in caso di vittoria) della cinquantaduenne Hsiao Bi-khim, sanzionata due volte da Pechino in quanto «indipendentista irriducibile».

Madre statunitense e padre taiwanese, un master in scienze politiche alla Columbia University, ex parlamentare dello Yuan legislativo, nel 2006 Hsiao propose la legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso che – approvata in una versione emendata nel 2019 – ha reso Taiwan il primo paese asiatico ad averli legalizzati. Spigliata e assertiva, è caratterialmente molto diversa da Tsai, della quale è stata portavoce e che punta attraverso di lei a mantenere la sua influenza sull’esecutivo anche dopo il 13 gennaio.

Nel suo profilo su X Hsiao si presenta come “ambasciatrice di Taiwan” e “cat warrior” negli Stati Uniti, da dove è appena rientrata dopo tre anni e mezzo come rappresentante di Taiwan, che a Washington non può avere un “ambasciatore” dal 1979, quando gli Usa hanno riconosciuto ufficialmente la Repubblica popolare cinese, praticando da allora la politica “Una sola Cina”.

Il riferimento felino viene motivato perché «i gatti sono forti ma non aggressivi come i lupi», i “wolf warrior” della diplomazia di Pechino. A Washington Hsiao può vantare amicizie di vecchia data importanti, tra cui quella con il democratico Kurt Campbell, sottosegretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, e con il repubblicano neoconservatore John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump.

Negli States ha svolto un ruolo centrale nell’organizzare le visite (per Pechino “provocazioni”) della speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan, il 2 agosto 2022, e l’incontro tra il suo successore, Kevin McCarthy, e Tsai a Simi Valley, il 5 aprile scorso. «Gli Usa stanno silenziosamente armando Taiwan fino ai denti», ha titolato qualche giorno fa la Bbc.

Anche dietro a questa svolta che ha irritato Pechino c’è il lavoro di Hsiao, la sua azione di lobbying sul Congresso e sulla Casa bianca, che nell’agosto scorso ha utilizzato per la prima volta per Taiwan il meccanismo del “Foreign military financing”: aiuti militari pagati con le tasse dei contribuenti, per un paese che gli Usa non riconoscono come indipendente.

La strategia

Il 15 novembre il vertice di San Francisco tra Xi Jinping e Joe Biden su Taiwan non ha prodotto alcuna distensione. Xi ha chiesto direttamente a Biden di sospendere le sempre più massicce forniture militari all’Isola, descrivendola come l’hotspot più pericoloso per le relazioni Cina-Usa, ma Biden si è limitato a rispondere che la politica della sua amministrazione non è cambiata rispetto a quella che gli Usa seguono ufficialmente dal 1979, ovvero “prendere atto” che c’è una sola Cina e fornire a Taiwan armamenti a scopo difensivo.

Il comunicato cinese ha però sottolineato le aspettative su quella che Pechino considera la questione più importante delle relazioni bilaterali Cina-Usa: «La Cina ha interessi che devono essere salvaguardati, princìpi che devono essere difesi e linee di fondo che devono essere rispettate».

La strategia di Hsiao e di Lai è il “piano su quattro pilastri”, in base al quale Taiwan continuerà a rafforzare le sue capacità di difesa, la sua sicurezza economica (provando a dipendere meno dalla Cina), ad allargare i suoi partenariati internazionali, e punterà a relazioni “pragmatiche” tra le due sponde dello Stretto. A San Francisco Xi ha assicurato a Biden di non aver in programma alcuna invasione dell’Isola.

«Credere ma verificare» ha replicato Hsiao nella sua prima uscita da candidata vice presidente, utilizzando una frase di Ronald Reagan, e aggiungendo che «la guerra non è un’opzione». Il programma del suo Dpp però è a dir poco indigesto per Pechino. Oltre a quelli di Gou, i voti contesi sono quelli dei giovani, tra i quali sono molti gli insoddisfatti delle politiche governative.

Un sondaggio appena pubblicato dalla prestigiosa Academia Sinica ha rivelato che oltre l’80 per cento dei taiwanesi ritiene che la minaccia della Cina sia diventata più seria negli ultimi anni, ma anche che la loro fiducia negli Stati Uniti è diminuita negli ultimi due anni, a causa di quella che viene percepita come l’incapacità di Washington di difendere l’Ucraina dall’invasione russa. Anche questa volta gli elettori premieranno il Dpp, che ha puntato tutto sui legami con Washington?

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