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Il contrattacco “morbido” di Israele e la guerra di segnali con l’Iran

Netanyahu si è trovato imprigionato dalla occasionale, ma non per questo meno convergente, coalizione dei contrari, ostile alla tentazione del premier e i suoi alleati meno malleabili di mettere fuori gioco quello che è ritenuto il vero nemico di Israele. In cambio di questa, forzata, moderazione, il giocatore di poker Bibi getterà un’altra carta sul tavolo? Essere stati «mosci» sul versante iraniano significa reclamare mani libere a Gaza o sul fronte libanese?

La guerra in forma diventa guerra dei segnali. Israele reagisce, per ora, all’attacco da parte dell’Iran del 13 aprile, con una rappresaglia forse ancora più simbolica, che peraltro trasmette un messaggio noto al regime degli ayatollah: possiamo colpirvi in profondità. Questo dicono i droni lanciati nei cieli iraniani, si vedrà se da fuori o dall’interno del paese, come avvenuto tempo fa per opera di nuclei di oppositori coordinati in loco dall’intelligence israeliana: gli “infiltrati” evocati,

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