Tutti coloro che a partire da aprile si erano affrettati a consegnare Kim Jong Un alla storia, dandolo per morto o nella migliore delle ipotesi in stato vegetativo, hanno dovuto rivedere le proprie analisi. Il leader nordcoreano ha lasciato l’intimità dei suoi palazzi tornando a palesarsi in pubblico. Le ultime due uscite, pubblicizzate dall’agenzia di stampa nordcoreana, lo hanno ritratto in visita alla provincia del Hwanghae settentrionale, la zona di maggior produzione di riso del paese, flagellata da inondazioni provocate dal passaggio di tre tifoni.

Kim, contorniato da una vasta schiera di militari, ha voluto supervisionare la ricostruzione portata avanti dalle forze armate. Ha anche dato disposizioni perché alle vittime delle catastrofi naturali fosse inviata un’ingente quantità di grano proveniente dalle sue riserve personali.

Insomma, nonostante le difficoltà sembra proprio che il leader sia ben saldo in sella al regime nordcoreano e che non si sia verificato alcuno smottamento politico che qualcuno aveva voluto intravedere, dando per certo ormai il trasferimento di potere nelle mani della sorella minore, Kim Yo Jong.

Il mistero della sorella

Ad aprile, mentre alcune testate si affannavano a certificarne la morte, Kim Jong Un ha presieduto un incontro del Politburo del partito, durante il quale si è discusso di misure di contenimento del Covid-19, che, comunque, stando alle fonti di stato, non ha colpito il paese. Si è anche proceduto alla nomina di alcuni nuovi membri – tra cui Kim Yo Jong – all’interno delle principali istituzioni politiche, compreso lo stesso Politburo. La sorella minore del leader ne aveva già fatto parte, ma ne era stata sollevata nell’aprile del 2019, probabilmente a causa del fallito summit di Hanoi tra il fratello e il presidente Donald Trump.  

Tali “rimpasti” sono abbastanza consueti e non significano né che Kim Jong Un sia impossibilitato a governare né che egli stia trasferendo delle importanti quote di potere alla sorella.

Secondo la propaganda del regime, la Corea del Nord è una “terra pulita”: le infezioni da Coronavirus sono assenti. Ma questo è, presumibilmente, il risultato di una limitata capacità diagnostica, dovuta all’endemica assenza di medici, medicinali ed attrezzature sanitarie avanzate.

Conferme ufficiali della diffusione del virus non se ne sono avute, anche se a luglio un esule nordcoreano rifugiatosi al Sud ha voluto fare marcia indietro, dopo tre anni dalla fuga. La cattura di questo individuo da parte delle forze armate ha prestato il fianco alla mai sopita guerra di propaganda tra le due Coree: dopo aver inizialmente dichiarato che l’uomo presentava sintomi riconducibili al virus – costringendo Kim Jong Un ad imporre un lockdown totale sulla città di Kaesong, nei pressi del confine col Sud – le autorità nordcoreane hanno smentito tale possibilità.

Nonostante la Corea del Sud sia uno dei paesi assurti a modello per la sua lotta al virus, i nordcoreani hanno cominciato ad utilizzare l’uomo per gettare discredito su coloro che fuggono dalla Corea del Nord e sull’inefficacia del sistema sanitario sudcoreano, che non proteggerebbe adeguatamente i suoi cittadini.

Null’altro è trapelato sulla situazione in cui versa la Corea del Nord a causa del Covid, anche se l’imposizione di restrizioni è stata confermata da molteplici fonti. Qualunque manifestazione o evento pubblico è stato cancellato già a febbraio, la popolazione è stata obbligata a indossare le mascherine, le scuole sono state chiuse, coloro che manifestano sintomi riconducibili al virus sono caldamente invitati a rimanere nelle loro abitazioni e i loro familiari sono sottoposti ad un periodo di quarantena all’interno di edifici governativi.

L’opportunità del disastro

L’imposizione della quarantena conferisce maggiore potere al regime: la scarsità di beni aumenta necessariamente la dipendenza dalla leadership, consentendo a quest’ultima di esercitare un controllo ancora maggiore sulla distribuzione dei generi di prima necessità.

A giudicare da quanto pubblicato da Asia Press, infatti, le autorità nordcoreane non solo avrebbero informato già alla fine di luglio i residenti di almeno tre province (su nove) di avvenuti contagi, ma avrebbero anche proibito qualunque spostamento interno. I dati esatti sui contagi sarebbero però tenuti ben nascosti per non creare il panico tra la gente.

Tale situazione è allarmante, dato che il sistema sanitario nordcoreano non brilla certo per efficienza: stando a quanto riportato lo scorso anno – quindi prima dell’esplosione del Covid-19 – dal Global Health Index, la Corea del Nord sarebbe al terz’ultimo posto (peggio di lei solo la Somalia e la Guinea Equatoriale) nel mondo per livello di preparazione e capacità di reazione ad una pandemia.

Gli ospedali nordcoreani, oltre a essere soggetti a frequenti blackout elettrici e alla mancanza di riscaldamento, contano su medici – spesso poco qualificati – privi delle dotazioni più basilari. Malgrado le cure sanitarie dovrebbero essere offerte in maniera gratuita alla popolazione, viene chiesto ai pazienti di sobbarcarsi le spese, incluso l’acquisto di eventuali medicinali.

Ciò nonostante, Kim Jong Un ha ordinato la costruzione di un nuovo ospedale, al centro di Pyongyang, che dovrebbe contribuire a migliorare le condizioni sanitarie generali della popolazione.

Si tratta naturalmente dell’ennesima operazione di propaganda: in un paese in cui la mortalità infantile e la malnutrizione costituiscono la regola e dove malaria, epatite B e tubercolosi sono piaghe inestirpabili, il regime cerca di proteggersi nascondendo agli occhi del mondo ciò che sta realmente avvenendo. Così come accadde alla metà degli anni ’90, quando una serie di catastrofi naturali condusse a una incontrollabile carestia che costò la vita a circa due milioni di persone, la Corea del Nord non farà alcun appello di aiuto alla comunità internazionale, dato che ciò rappresenterebbe un’umiliazione per il regime di Kim.

Questo è uno dei motivi per cui è stata di recente lanciata la “campagna di tutti” contro la diffusione del virus: l’obiettivo è quello di mobilitare la popolazione e, soprattutto, difendere l’integrità del regime come reale garante del benessere dei cittadini.

Laddove non arriva la propaganda, comunque, ci pensa il regime: si mormora che il celebre Ufficio 10 del ministero per la Sicurezza– deputato alle operazioni di investigazione – abbia provveduto all’arresto di alcuni cittadini che discutevano al telefono della diffusione del virus.

This image made from video broadcasted by North Korea's KRT, shows a military parade with what appears to be a possible new solid-fuel missile at the Kim Il Sung Square in Pyongyang, Saturday, Oct. 10, 2020. North Korean leader Kim Jong Un warned Saturday that his country would “fully mobilize” its nuclear force if threatened as he took center stage at a massive military parade to mark the 75th anniversary of the country’s ruling party. (KRT via AP)

La Cina non dimentica Kim

Oltre alle severe limitazioni interne, anche i confini, in particolare quello lungo più di mille chilometri che divide la Corea del Nord dalla Cina – principale alleato economico di Pyongyang – sono stati serrati, ma solo dopo che il virus aveva chiaramente cominciato a manifestarsi nella Repubblica Popolare Cinese; la porosità di tali confini può aver prodotto conseguenze potenzialmente disastrose che il regime non ha alcuna intenzione di rivelare al mondo.

Un numero ingente di forze speciali sarebbe stato stanziato dal governo proprio al fine di monitorare le zone di confine con la Cina, con il compito di impedire ai nordcoreani di andarsi a rifornire nella Repubblica Popolare e prevenire qualunque contrabbando illecito.

Pechino non ha intenzione di rimanere inerte: le complicazioni politiche prodotte dal virus potrebbero minare la stabilità del regime nordcoreano – esattamente ciò che la Cina vuole evitare al fine di continuare a mantenere i propri confini impermeabili – dunque i cinesi si assicureranno che la Corea del Nord abbia accesso ai beni di prima necessità, come scorte alimentari e carburante.

Già a luglio, a questo proposito, i satelliti hanno ripreso alcune navi nordcoreane che – in violazione delle sanzioni internazionali – avrebbero fatto tappa in Cina riportando in patria petrolio e carbone. Almeno dal punto di vista economico, la Corea del Nord dipende quasi totalmente dagli interscambi con la Repubblica Popolare Cinese, la quale ha costantemente cercato di ottenere – invano, in particolare da quando a capo dell’amministrazione americana c’è Trump – dalle Nazioni Unite un ammorbidimento del regime sanzionatorio a carico di Pyongyang.

L’impermeabilità del paese e le sanzioni – la cui inutilità è dimostrata da molti analisti – a cui la Corea del Nord è sottoposta rendono la fornitura di aiuti – mascherine, guanti, materiale igienizzante – particolarmente complicata. Una diffusione massiccia della pandemia in Corea del Nord potrebbe convincere Kim a tornare al tavolo negoziale con gli Stati Uniti, magari facendo concessioni sostanziali sul disarmo nucleare in cambio di aiuti e sospensione di parte delle sanzioni? Ciò non accadrà per varie ragioni, la più importante è lo stesso motivo per cui la Corea del Nord ha deciso di dotarsi di armi nucleari e cioè difendere il regime dalla minaccia rappresentata dagli Stati Uniti e dai loro alleati regionali, Giappone e Corea del Sud.

Come dimostrato dal sostanziale “nulla di fatto” a seguito ai due meeting (2018 e 2019) tra Trump e Kim, lo smantellamento dell’arsenale nucleare è una questione di difficile digeribilità per il regime, e su questo non c’è pandemia che tenga.

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