In Europa esiste un capo dello stato che racchiude le caratteristiche principali di tre politici italiani: è un rottamatore come Matteo Renzi, un imprenditore mediatico come Silvio Berlusconi e un comico come Beppe Grillo. Si chiama Volodymyr Zelensky e il 21 aprile 2019 con il 73 per cento dei voti al secondo turno è stato eletto presidente dell’Ucraina. Con un consenso elettorale diffuso in quasi tutto il territorio, Zelensky, che ha girato i teatri con il suo spettacolo, ha compiuto un’operazione politica inimmaginabile per le modalità impiegate e il risultato ottenuto: dalla fiction alla realtà. Nel 2015 Zelensky ha ideato la serie televisiva Servo del popolo in cui interpreta una persona comune che si trova catapultata alla presidenza del proprio paese per gestire la delicata situazione politica, caratterizzata da conflitti interni e alti livelli di corruzione.

La popolarità della serie è stata immediata e il grande successo ottenuto dalle due stagioni ha comportato l’acquisto del format da parte di Netflix, diversi premi internazionali, una terza stagione che è uscita durante la campagna presidenziale come una specie di spot elettorale per poi trasformarsi in reality show. La sceneggiatura di questa serie televisiva diventa, passo dopo passo, il percorso politico di una “stella nascente” che trasmette dinamismo, buonsenso, entusiasmo, rappresentando “il volto buono del populismo”, basato su una retorica antipolitica, che coinvolge l’elettorato a cui offre una visione di speranza, di rinnovamento e modernizzazione.

Contro il re del cioccolato

Zelensky è un giovane ebreo russofono dell’est che a 41 anni sconfigge il presidente uscente e “re del cioccolato”, Petro Poroshenko, ormai espressione dei problemi del paese (elevata corruzione, difficile situazione economica, scandali). Per evitare di essere “un’anatra zoppa” fin dai primi mesi della sua presidenza, il “Ze” (in ucraino “Tse” vuol dire “è”) scioglie il parlamento (Rada) e indice nuove elezioni nelle quali il suo partito, Servo del popolo, ottiene il 43 per cento dei voti ed elegge 254 deputati che sono per lo più intellettuali, comici e sconosciuti alla loro prima esperienza politica.

In pochi mesi Zelensky ottiene il turnover dell’80 per cento della classe dirigente, estromettendo numerosi oligarchi, costituisce un governo con una età media di 39 anni, composto dalla generazione postcomunista che ha studiato anche all’estero e ha esperienze professionali nel settore pubblico ma anche in quello privato.

Direttore artistico dello studio cinematografico Kvartal 95, produttore televisivo, comico e blogger, Zelensky è un Navalny che ce l’ha fatta, dimostrando anche alla vicina Russia che i mass media tradizionali e i social network possono costituire uno strumento importante e decisivo di opposizione politica. Ma come la gran parte dei movimenti o leader populisti che nascono come un’azione di protesta nei confronti delle élite al governo, anche la politica di Zelensky si trasforma e si adatta ai giochi di potere interni ed esterni alle istituzioni.

In questi due anni di presidenza, Zelensky ha accentrato il potere, piazzando i suoi fedeli in ruoli chiave come i servizi segreti, ha ostacolato l’opposizione, ha preferito il dialogo diretto coi cittadini bypassando i giornalisti. È accusato di essere una personalità autoritaria perché licenzia in diretta governatori e direttori delle dogane.

Libertà di stampa negata

I dati di Reporters without Boarders evidenziano che nel 2020 l’Ucraina occupa la posizione numero 96 su 180 paesi con 229 casi di violazione della libertà di parola. Come il suo predecessore, Zelensky nega l’accreditamento ai giornalisti considerati filorussi in nome di un giornalismo patriottico che si traduce in acquiescenza nei confronti del presidente. Ne è un esempio la giornalista Aljona Berezovskaja, che è stata indagata dai servizi di sicurezza per aver chiesto al capo del partito di opposizione Vladimir Medvedchuk se per caso fosse meglio per l’Ucraina «unirsi alla Russia».

Nel frattempo, si inaspriscono le misure nei confronti dei cittadini russofoni con una legge che prevede l’uso della lingua ucraina anche nel settore dei servizi, chiedendo agli utenti di segnalare le infrazioni punite con 250 euro di multa.

A Dnepropetrovsk il vicepresidente del consiglio regionale Gennady Gufman ha inventato la “lingua ucraina orientale” che è simile al russo, ma con accento ucraino, in modo da aggirare la legge ucraina antirussa.

Inoltre, con decreto presidenziale e una sanzione economica di cinque anni sono stati chiusi tre canali filorussi (Newsome, 112Ucraina e ZIK), suscitando la reazione immediata del presidente Putin, che ha fra l’altro sottolineato come l’occidente non abbia espresso alcuna critica a Zelensky «per i propri obiettivi geopolitici».

Tuttavia, la luna di miele del popolo ucraino con il suo presidente sembra essere già terminata. In base al sondaggio dell’Istituto sociologico internazionale di Kiev, il partito Servo del popolo di Zelensky si attesta al 16 per cento, preceduto seguito da Solidarietà europea di Poroshenko al 19,2 per cento. Inoltre, il 74 per cento degli intervistati ritiene che le cose nel paese si stiano muovendo nella direzione sbagliata e se domani ci dovessero essere le elezioni parlamentari, il primo partito, sempre secondo le rilevazioni statistiche, potrebbe essere il Blocco d’opposizione, erede del fuggitivo Janukovyč e dei suoi amici.

La politica estera

Se la situazione politica interna non mostra segnali di concreto miglioramento, anche sul piano della politica estera Zelensky rischia di essere una pedina nella lotta tra due grandi potenze, Usa e Russia, con risvolti drammatici per la stabilità del paese e dell’area.

Zelensky ha assunto una posizione risolutamente nazionalista affermando: «Caro popolo della Crimea! È ora di tornare a casa». Eppure, normalizzare i rapporti con la Russia era un obiettivo del suo mandato e Zelensky sembrava l’uomo giusto per trattare con Putin, dopo aver negoziato il rientro di 35 prigionieri ucraini rilasciati dalle prigioni russe e aver mantenuto una promessa elettorale.

Tuttavia, l’atteggiamento di Zelensky nei confronti della Russia è decisamente cambiato, contando sull’appoggio economico e politico offerto dal presidente americano Joe Biden che al G7 ha affermato che l’integrità territoriale dell’Ucraina è una «preoccupazione vitale». Zelensky così non ha accettato l’utilizzo del vaccino russo Sputnik, ma si è vaccinato vicino alla linea del fronte del Donbass con AstraZeneca.

Una delegazione ucraina guidata dal premier Denys Shmyhal è inoltre andata a Bruxelles per discutere la revisione e l’ampliamento dell’Accordo di associazione con l’Ue che aveva suscitato il conflitto nel 2014 con Mosca.

Il parlamento europeo ha, invece, approvato una risoluzione sul Donbass che esorta l’Ue a partecipare attivamente alla stabilizzazione della situazione con l’invio di peacekeeper delle Nazioni Unite, ma anche ad essere pronta a inasprire le sanzioni contro la Russia.

Nord Stream 2

Un’altra situazione conflittuale riguarda la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, ormai quasi ultimato. Da un lato, la Germania ritiene che l’accordo commerciale con la Russia possa moderarne le azioni politiche, dall’altro gli Stati Uniti e l’Ucraina temono «il tentacolo dell’influenza russa che si insinua in Europa», lasciando vulnerabili al ricatto energetico russo diversi paesi europei e rafforzando ancora di più il peso di Berlino nell’Ue.

In passato il nome di Zelensky è stato associato alla richiesta telefonica dell’ex presidente Donald Trump (che ha sfiorato perciò l’impeachment) di avviare un’indagine su Hunter Biden per mettere in difficoltà suo padre durante la campagna presidenziale. Nei prossimi mesi l’Ucraina potrebbe essere, invece, collegata ad un nuovo fronte di destabilizzazione/conflitto armato al confine russo che per Zelensky, “il presidente della pace”, un’etichetta che contribuì alla sua vittoria, costituirebbe la mancata promessa più grave.

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