Gli uffici consolari della Repubblica popolare cinese in Corea del sud e Giappone hanno bloccato da ieri l’emissione dei visti brevi, come prima risposta alle limitazioni decretate da una serie di paesi – tra cui l’Italia – all’ingresso dei viaggiatori provenienti dalla Cina travolta dalla grande ondata su scala nazionale di Covid-19.

Sono stati sospesi quelli per turismo, affari, trattamenti sanitari, e quelli di transito. La rappresaglia è scattata per quelle che Pechino giudica «restrizioni discriminatorie» varate dai due vicini asiatici.

Seul aveva in precedenza interrotto (fino al 31 gennaio) il rilascio di permessi turistici per i passeggeri in arrivo dalla Cina. La notizia della ritorsione contro il Giappone, data dall’agenzia Kyodo, non ha trovato ulteriori conferme.

Milioni di persone si sono già messe in moto per le lunghe festività dell’anno del coniglio, che inizierà il 22 gennaio. I soggiorni saranno un terzo in meno rispetto ai livelli pre pandemia (quando i cinesi spendevano all’estero 250 miliardi di dollari all’anno), e le destinazioni preferite restano quelle asiatiche.

Dopo che per tre anni la politica “contagi zero” promossa da Xi Jinping ha costretto i cinesi in casa, per la classe media che è corsa a rinnovare i passaporti alla riapertura scoprire che tanti paesi le hanno socchiuso le porte non è stata una sorpresa incoraggiante.

La carta del nazionalismo

Quasi un affronto per Xi e compagni, che stanno approntando una nuova narrazione per far passare come “correzione scientifica” quello che, nei fatti, è stato un repentino smantellamento della politica difesa strenuamente dalla leadership, fino a quando si è arresa per la rapidità di diffusione di Omicron che ha bucato “contagi zero”, per i danni causati all’economia dai continui lockdown e per le proteste studentesche.
Per questo il nuovo ministro degli Esteri, Qin Gang, ha protestato al telefono con il suo omologo sudcoreano, Park Jin, che ha rivendicato come basati «su prove scientifiche» i tamponi negativi alla partenza dalla Cina e all’ingresso a Seul, grazie ai quali i positivi provenienti dalla Rpc si sarebbero ridotti dal 31,4 al 12,6 per cento.

Mentre i satelliti immortalano file ai crematori e alcuni studi prevedono oltre 1 milioni di vittime, da domenica scorsa la Sars-CoV-2 è stata degradata a “malattia infettiva di classe B”, è stata riaperta anche la frontiera con Hong Kong, mentre le autorità affermano che il picco dei contagi è stato superato nella maggior parte delle metropoli.

L’improvvisa riapertura è stata accolta con sollievo dalla popolazione urbana. Ma il nazionalismo può comunque servire in una fase di difficoltà economica e d’inquietudine della società.

Anche l’Italia nel mirino?

Il portavoce del ministero degli Esteri ha sottolineato che da quando, domenica scorsa, la Rpc ha riaperto le sue frontiere anche all’ingresso degli stranieri, «purtroppo, una manciata di paesi, sprezzanti della scienza e dei fatti, ha insistito per adottare misure discriminatorie di restrizione all’ingresso nei confronti della Cina». Tra questi paesi c’è anche l’Italia.

«La Cina prenderà misure reciproche» contro quella che ha definito «politicizzazione del Covid». Anche contro paesi dell’Unione Europea? Improbabile, in una fase in cui Pechino punta sulle relazioni con Francia e Germania per compensare la conflittualità con Washington.

Non a caso il portavoce ha stigmatizzato gli Stati Uniti, dove si sta diffondendo la sottovariante Xbb 1.5. «Gli Stati Uniti devono condividere le informazioni e i dati nazionali sul Covid con l’Oms e la comunità internazionale in modo tempestivo, aperto e trasparente e adottare misure concrete ed efficaci per impedire un'ulteriore diffusione del virus», ha concluso.

Il ministero della Sanità ha annunciato che il Paxlovid (dal 1° aprile prossimo) non sarà più incluso nel registro dei farmaci in dotazione agli ospedali cinesi. Le trattative tra il governo di Pechino e Pfizer sono naufragate perché non c’è stato accordo sul prezzo.

L’azienda tuttavia ha comunicato che inizierà a breve la produzione in Cina – assieme al partner locale Huahai Pharmaceutical – per vendere sul mercato il farmaco ritenuto efficace nel 90 per cento dei casi nel prevenire l’insorgenza di sintomi seri nelle persone anziane e fragili.

Le scatole d’importazione sono introvabili dopo che nei giorni scorsi hanno raggiunto sul mercato nero prezzi fino a venti volte (oltre 7.000 euro) quello in farmacia.

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