Per fabbricare la notizia di un disastro ferroviario mai avvenuto, il signor Hong ha chiesto a ChatGpt di utilizzare parole chiave e circostanze di “trending topics” recenti. Il programma ha prodotto diverse versioni della “fake news”, che l’uomo ha postato sui social raggiungendo migliaia di utenti.

Così Hong (la polizia ha rivelato solo cognome e provincia di residenza, il Gansu) domenica scorsa è assurto agli onori della cronaca come il primo cinese arrestato per aver utilizzato l’intelligenza artificiale generativa (GenAi) per diffondere informazioni false, potenzialmente destabilizzanti per il partito comunista (Pcc).

Non è chiaro cosa l’abbia spinto a compiere il gesto che gli costerà fino a dieci anni di carcere, per “turbativa dell’ordine pubblico”. Come che sia, non è stato particolarmente difficile. Dopo aver registrato una ventina di account su Baijiahao (piattaforma di blogging di Baidu), grazie a un software Vpn, Hong ha scavalcato la grande muraglia informatica per accedere a ChatGpt. Al resto ha pensato l’intelligenza artificiale.

Incollare la gelatina al muro

Mentre Baidu, Alibaba e le altre si lanciano su quello che – dopo il web e gli smartphone – sperano possa diventare il loro prossimo “motore di crescita”, l’authority per il cyberspazio della Cina ha appena pubblicato una bozza di regolamento della GenAi. I contenuti «non devono incitare al rovesciamento del sistema socialista, alla secessione o alla distruzione dell’unità nazionale».

Sono vietate inoltre le «informazioni false, così come qualsiasi cosa che possa turbare l’ordine economico o sociale». Prima di rendere disponibili i loro servizi, le aziende – che saranno responsabili di eventuali violazioni degli utenti – dovranno sottoporre alle autorità una valutazione di sicurezza.

A preoccupare il Pcc non sono soltanto le bufale come quella di Hong e le truffe architettabili grazie ai “large languange models” (Llm), ma anche la possibilità di utilizzare, ad esempio, la voce e il volto del presidente Xi Jinping per contenuti “deep fake”. A questi ultimi è stato imposto l’obbligo di etichettatura e di tracciamento della fonte, nonché del consenso della persona alla quale venga modificato l’aspetto e/o le parole. Infine le notizie utilizzate nei filmati e negli audio artefatti possono essere attinte solo dai 1.358 media ufficiali.

Il partito comunista sta provando a ripetere con la GenAi il “miracolo” che Bill Clinton aveva scommesso non gli sarebbe mai riuscito con internet: «Incollare la gelatina al muro», addomesticare qualcosa che per sua natura è – apparentemente – incontrollabile. Stavolta però il rischio è quello di dar vita a un’intelligenza artificiale meno intelligente della statunitense OpenAi, e ad applicazioni industriali e militari meno innovative di quelle degli avversari.

Chiusi nei confini di quella che è di fatto una gigantesca intranet, i ricercatori cinesi hanno meno materiale dei loro concorrenti per allenare l’Ai. Il secondo grosso limite della Ai “made in China” è l’embargo Usa: Washington ha vietato al colosso dei semiconduttori Nvidia di esportare i suoi chip H100 e A100 in Cina, alla quale fornisce per la Ai solo microprocessori meno performanti.

In ritardo

Venerdì scorso, durante una riunione della commissione affari economici e finanziari, Xi Jinping ha ribadito l’importanza dello sviluppo dell’intelligenza artificiale per costruire un sistema industriale moderno. Malgrado il settore sia stato individuato come strategico fin dal 2018, l’irruzione di ChatGpt ha messo a nudo il ritardo della Cina, che è di almeno due-tre anni rispetto agli Stati Uniti.

La spesa per l’intelligenza artificiale in Cina quest’anno toccherà i 14,75 miliardi di dollari (circa il 10 per cento di quella globale). Secondo un rapporto della International data corporation (Idc), il tasso di crescita annuale del mercato cinese dell’intelligenza artificiale supererà il 20 per cento di quello mondiale nel periodo 2021-2026.

La speranza della leadership di Pechino è che l’Ai possa contribuire a risolvere alcuni tra i problemi più pressanti dell’economia. Kai-Fu Lee ha ricordato che «le industrie tradizionali in Cina sono sotto pressione a causa dell’aumento del costo del lavoro dovuto al calo della forza lavoro e al rallentamento della crescita demografica». Secondo l’ex presidente di Google China, la Ai «non solo può ridurre i costi operativi, migliorare la produttività ed espandere la capacità, ma in futuro dovrebbe anche portare a una crescita dei ricavi».

Ernie

Le compagnie cinesi utilizzano da anni i “large language models”, per la ricerca e le applicazioni industriali, ma non per chatbot destinati agli utenti come ChatGpt. L’arrivo di quest’ultima le ha spiazzate e costrette a rincorrere.

Sono una ventina le aziende che stanno lavorando sui Llm, 21 quelli prodotti nel 2021, contro i due dell’anno precedente. Il chatbot apripista si chiama Ernie, ed è una creatura di Baidu, tra le compagnie che negli ultimi anni hanno puntato maggiormente sui big data e sulla Ai. Segue Alibaba con il suo Tongyi Qianwen e, staccate, Tencent, ByteDance e le altre big private di internet sottoposte al giro di vite del 2021-2022, che è servito ad allinearle alle strategie governative e, nello stesso tempo, a spezzare monopoli considerati un freno per lo sviluppo tecnologico.

Ernie, il concorrente cinese di ChatGpt, vanta 175 miliardi di parametri di apprendimento. Il 16 marzo scorso, l’amministratore delegato di Baidu, Robin Li, lo ha presentato al pubblico decantandone le capacità letterarie, commerciali, matematiche, di comprensione della lingua cinese e generazione multimediale, di produrre immagini basate su suggerimenti di testo.

Ma non ha offerto alla sua audience pechinese alcuna dimostrazione dal vivo, mentre il sistema – che, secondo Li, è in ritardo di “due o tre mesi” rispetto a ChatGpt – è accessibile solo ai collaudatori. E quando gli è stato chiesto se la Cina sia un paese democratico, Ernie ha risposto semplicemente: «Non ho ancora imparato a rispondere a questa domanda».

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