Il video prodotto dall’intelligenza artificiale sul “futuro di Gaza” fa da tragico contrappunto alle tragedie reali della Striscia: a migliaia hanno seguito i funerali di Shiri, Ariel e Kfir uccisi da Hamas e riconsegnati nelle bare. Ma intanto la tregua prosegue e si sblocca la liberazione di oltre 600 prigionieri palestinesi
«Niente più tunnel, niente più paura», si sente rappare sulla musica di sottofondo, «la Gaza di Trump è finalmente arrivata!». E ancora: «Donald sta arrivando per liberarti, la Gaza di Trump splende luminosa. Un futuro dorato, una luce del tutto nuova».
Un video prodotto con l’intelligenza artificiale e poi condiviso sui social media del presidente americano Trump fornisce una resa visiva di come si presenterebbe, nell’immaginario dell’inquilino della Casa Bianca, la striscia di Gaza nella sua versione “Riviera del Medio Oriente” lanciata durante la conferenza stampa con Netanyahu a inizio febbraio. Come spesso accade con le esternazioni di Trump, anche il video, surreale e grottesco, lascia interdetti: è questa davvero la sua utopia per Gaza? Va preso sul serio oppure è solo una goliardata?
Nel breve filmato, costruito sulla contrapposizione fra il prima e il dopo, si vede l’inferno dei tunnel e delle macerie lasciare spazio a una specie di Emirato del Golfo in stile Dubai, con albergoni pacchiani, locali notturni, macchine di lusso, ballerine del ventre e yacht.
Ma c’è di più: le grandi statue dorate di Trump in versione dittatore di una repubblica delle banane, comprese della loro versione in miniatura in vendita nei negozi. Un Elon Musk vacanziero che mangia hummous – forse l’unico elemento rimasto della vera Gaza – su cui piovono banconote mentre cammina sulla spiaggia. Bibi che prende il sole sdraiato di fianco all’amico Donald.
I videogiochi e la realtà
Nelle ore in cui il video sulla nuova Gaza infiammava i social media, nello stato ebraico e nei territori palestinesi in pochi avevano voglia di scherzare. Israele si è fermato mercoledì per il funerale della famiglia Bibas, che ha suggellato la vicenda più tristemente nota del dramma degli ostaggi israeliani.
I piccoli Bibas, Ariel di quattro anni e Kfir di 9 mesi, sono stati rapiti dal kibbutz di Nir Oz insieme alla madre Shiri nelle prime ore dell’attacco di Hamas il 7 ottobre. Secondo le ricostruzioni, i tre sarebbero stati brutalmente uccisi in cattività già in novembre, ma i loro corpi senza vita sono stati riconsegnati solo in febbraio.
Folle di israeliani hanno accompagnato i feretri verso il cimitero di Zohar, nel sud del Paese, e si sono assiepate sui lati della strada. Si sono radunate in “Piazza degli ostaggi” a Tel Aviv e si sono collegate con la diretta streaming sul telefonino per seguire i discorsi dei familiari.
Ovunque si vedeva il colore arancione, divenuto simbolo dei due bambini per via dei loro capelli rossi. Palloncini arancioni, cartelli arancioni, vestiti arancioni: per un giorno sono diventate arancioni anche le bandiere israeliane degli account ufficiali del governo.
«Ricordo che durante il parto l'ostetrica ha improvvisamente interrotto tutto: eravamo spaventati e pensavamo che qualcosa non andasse», ha detto Yarden Bibas, il padre e lui stesso ostaggio poi liberato, rivolgendosi al piccolo Kfir. «Ma era solo per dirci che avevamo un altro bambino con i capelli rossi. Io e la mamma abbiamo riso e gioito».
Rivolgendosi alla moglie Shiri, che chiamava “Mishmish”, cioè albicocca sia in ebraico che in arabo, ha detto: «Mishmish, chi mi aiuterà a prendere decisioni adesso? Come faccio a prendere decisioni senza di te? Ti ricordi la nostra ultima decisione insieme? Nella stanza di sicurezza, ti ho chiesto se dovessimo 'combattere o arrenderci'. Hai detto di combattere, quindi ho combattuto. Shiri, mi dispiace di non essere riuscito a proteggervi tutti. Se solo avessi saputo cosa sarebbe successo, non avrei sparato».
Nell’Israele prima del 7 ottobre l’arancione rappresentava il movimento contro il ritiro dalla Striscia di Gaza. Chi frequentava il Paese già 20 anni fa ricorda come nel 2005, quando le strade erano invase da nastrini e striscioni contro la restituzione della striscia ai palestinesi, il colore aveva finito per assumere una valenza politica. Ma nell’Israele dopo il 7 ottobre, il colore arancione è ormai soltanto un richiamo doloroso alla sorte dei due bambini Bibas. E alla strage della loro famiglia, che dal lato di Shiri ha avuto vittime quel giorno in ben tre generazioni.
La tregua continua
Sempre mercoledì è stato raggiunto un accordo per superare l’ultima impasse di questa travagliata tregua.
Hamas ha accettato di rilasciare i corpi di quattro ostaggi israeliani per sbloccare la liberazione di oltre 600 prigionieri palestinesi, che Israele avrebbe dovuto liberare già lo scorso sabato. Netanyahu li ha trattenuti citando il macabro cerimoniale di Hamas in occasione dei rilasci, che dovrebbe infatti essere almeno temporaneamente congelato.
Nel frattempo Bibi si è meritato gli strali della stessa famiglia Bibas, irritata per come descriva nel dettaglio in pubblico la presunta dinamica dell’assassinio dei due bambini. La rabbia verso di lui ha in realtà radici molto più profonde. Durante il funerale Ofri Bibas Levy, la sorella di Yarden Bibas, ha detto: «Avrebbero potuto salvarli, invece hanno preferito la vendetta».
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