Lo chiamano “game” ma il tentativo di entrare nell’Unione dai Balcani non è un gioco: nessuno vuole i migranti. A Trieste trovano rifugio per poco, la polizia croata li umilia. In Bosnia ed Erzegovina la situazione è esasperata
- Ero anch’io una di loro. Scappando dal conflitto in Jugoslavia, negli anni Novanta, ho capito perché si lascia la propria casa e ci si avvia verso l’ignoto. Per me Trieste era il punto più vicino dove, al sicuro, potevo aspettare la fine della guerra.
- I migranti che passano da Trieste non raccontano dei fiumi guadati senza saper nuotare, ma della crudeltà della polizia di frontiera croata.
- In Bosnia e Erzegovina, gli abitanti fino a tre anni fa aiutavano i migranti, memori di quando nei Novanta erano profughi. Ora si è arrivati alle ronde e ai poliziotti bosniaci che picchiano i migranti.
Per i migranti che attraversano la rotta balcanica, Trieste è uno scalo dove sostare un giorno o meno, per essere nutriti dai volontari, riforniti di vestiti, medicati. Guardano oltre, in altri paesi europei dove c'è chi li aspetta. La rotta vuol dire migliaia di chilometri, il più delle volte a piedi, con ostacoli come i fiumi. Sono esposti a violenze, calunnie, rapine; sanno di non essere benvenuti. Solo la disperazione li spinge avanti Ero anch’io una di loro. Decisa ad andarmene, fino all



