Per i migranti che attraversano la rotta balcanica, Trieste è uno scalo dove sostare un giorno o meno, per essere nutriti dai volontari, riforniti di vestiti, medicati. Guardano oltre, in altri paesi europei dove c'è chi li aspetta. La rotta vuol dire migliaia di chilometri, il più delle volte a piedi, con ostacoli come i fiumi. Sono esposti a violenze, calunnie, rapine; sanno di non essere benvenuti. Solo la disperazione li spinge avanti

Ero anch’io una di loro. Decisa ad andarmene, fino all’ultimo ho temuto una mano pesante sulla spalla e una voce: «Tu non puoi partire». Scappando dalla guerra in Jugoslavia, negli anni Novanta, ho capito perché si lascia la propria casa e ci si avvia verso l’ignoto. Per me Trieste era il punto più vicino dove, al sicuro, potevo aspettare la fine della guerra.

Scalo a Trieste

La maggior parte dei migranti che arrivano a Trieste hanno poco più di vent’anni; ci sono minorenni non accompagnati, qualche famiglia con figli piccoli. Ognuno ha la sua meta: l’Inghilterra, la Francia dove Irhan, afgano di 17 anni, ha amici; la Norvegia dove si trovano i genitori del marocchino Hassan. Dal Marocco si raggiunge la Turchia in aereo, il visto non serve, e poi si percorre la “rotta” a piedi, passando per Grecia o Bulgaria, Serbia o Albania, e poi Bosnia, Croazia, Slovenia e l’Italia. A Trieste ad aspettarli, nel parco di fronte alla stazione centrale, ci sono i volontari dell’associazione Linea d’ombra. Il 24 ottobre le autorità di Trieste hanno concesso a un gruppo di estrema destra di protestare contro i migranti proprio nella piazza della Libertà dove i volontari li accolgono. È finita a spintoni e botte. Non intimiditi, i volontari hanno proseguito l’opera.

Deportazione

A Trieste chi superava la “rotta balcanica” poteva considerarsi al sicuro, finalmente sul suolo dell’Ue dove vige la protezione per chi fugge da terre insicure. La situazione è cambiata da quando il governo italiano ha rafforzato il monitoraggio del confine con la Slovenia. Ogni giorno vengono catturati venti, trenta migranti, molti ancor prima di raggiungere Trieste. Anche chi vi arriva, e presenta domanda di asilo politico, viene deportato in Slovenia, dove viene passato alle autorità croate per poi finire dove era partito: in Bosnia ed Erzegovina. Mohamed, pachistano, è ricomparso a Trieste dopo sei mesi. Era arrivato a marzo ma poi è stato deportato, finendo nella città di Bihać nella Bosnia nord occidentale. Da allora per 35 volte ha tentato di entrare in Ue. Tentativi chiamati in gergo game, gioco, ma non c’è nulla di divertente nell’avventura che si gioca sulle alte montagne bosniache, o attraverso i fiumi Sana e Una, che fanno da confine tra la Bosnia ed Erzegovina e la Croazia: belli, selvaggi, pericolosi.

La polizia croata

I migranti che riescono ad arrivare a Trieste non parlano di come hanno fatto a guadare i fiumi senza saper nuotare, né di come hanno attraversato il monte Plješevica alto oltre 1.600 metri e coperto di neve, anche durante l’estate; non parlano degli animali selvatici incontrati nei boschi. Le loro storie sono piene di particolari della crudeltà della polizia di frontiera croata e i loro corpi sono pieni delle tracce “del trattamento speciale”. Li catturano, maltrattano, picchiano, denudano, rubano loro soldi e cellulari, buttano via o distruggono vestiti e zaini, poi li caricano sulle auto, li trasportano vicino al confine e con il fucile puntato li cacciano oltre il confine in BiH (Bosnia ed Erzegovina). Il caso più eclatante è stato quando la polizia croata ha prelevato da Zagabria due studenti nigeriani che sospettava essere migranti solo perché scuri di pelle; erano arrivati con regolare visto per partecipare a un raduno studentesco. Li ha trasportati al confine e costretti a passare in Bosnia. L’Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha denunciato il comportamento della polizia croata, i cui agenti umiliano i migranti catturati, marchiandoli con la vernice sulle teste rasate. La spietatezza della polizia di frontiera è stata denunciata da migranti, ong, Europarlamento. Ma l’unico risultato è stato che l’Ue ha concesso più soldi per equipaggiare meglio la polizia croata nella difesa della frontiera d’Europa.

I confini porosi

Tre anni fa, dopo che i migranti si sono visti chiudere le vie più brevi per raggiungere l’Ue, tra la Serbia e l’Ungheria con barriere di filo spinato, e poi tra la Serbia e la Croazia, hanno cambiato rotta e sono costretti a percorrere la via più lunga, attraverso la Bosnia ed Erzegovina (BiH). La Bosnia ed Erzegovina è un paese disfunzionale. Con gli accordi di Dayton, coi quali è finita la guerra in Bosnia ed Erzegovina 25 anni fa, è stata divisa in due entità, la Repubblica Serba (Republika Srpska, RS) e la Federazione. I nazionalisti serbi e croati bosniaci, che con la guerra degli anni Novanta si volevano spartire la BiH, stanno cercando di raggiungere l’obiettivo con la politica: boicottano, ostacolano, disobbediscono alla legge e alle decisioni del governo. Ciò si riflette anche sulla situazione dei migranti in BiH. Il governo centrale a Sarajevo non ha una politica comune, ancor meno la forza politica di gestire l’arrivo di decine di migliaia di migranti. Il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ripete che «i serbi bosniaci non vogliono i migranti» e quelli che vengono trovati sul territorio vengono trasportati con gli autobus e scaricati al confine con la Federazione. Non tollerano i migranti sul territorio dove i serbi bosniaci sono la maggioranza, ma chiudono gli occhi di fronte ai migranti che entrano in Bosnia dalla Serbia. In soli due mesi, dopo che la gendarmeria della RS ha preso il controllo del confine, settemila migranti sono entrati in Bosnia dalla Serbia. Nei primi sei mesi del 2020, attraverso questo confine sono entrati trentamila migranti. Nessuno sa dove siano finiti. Neppure i capi politici dei croati bosniaci vogliono i migranti nel proprio territorio. Quando, due anni fa, il governo centrale tentò di sistemare un gruppo di migranti a Salakovac, vicino a Mostar, la polizia dei croati bosniaci ha eretto barricate.

Bosnia “terra di passaggio”

Per i migranti la BiH è una terra da attraversare per avvicinarsi il più possibile al confine con la Croazia, nel cantone Una Sana. Da là intraprendono il game per entrare in Ue. In quella zona ci sono diecimila migranti concentrati nei dintorni di Bihać e Velika Kladuša. Nei centri, sovraffollati, gestiti dalle ong sono sistemati in circa tremila. Altri vivono in ruderi, boschi. Ogni giorno in quel fazzoletto di terra arriva una media di centocinquanta migranti che entrano in BiH dal sud-est dei Balcani, passando per la Serbia, e altri cinquanta deportati da Italia, Slovenia e Croazia. La Bosnia, più che terra di passaggio, è diventata il deposito dei migranti: una volta arrivati là, non possono più proseguire. Ciò fa paura alla gente del posto, che protesta. Il sindaco della città di Bihać, Šuhret Fazlić, ha detto che la situazione è insostenibile. «Ogni giorno c’è un flusso incontrollato di migranti accampati ovunque, e siamo lasciati soli». Le autorità del cantone Una Sana hanno adottato misure estreme: ronde auto-organizzate bloccano i pullman e fanno scendere migranti e richiedenti asilo, pure i bambini. È vietato il trasporto di migranti e richiedenti asilo su mezzi pubblici e taxi, vietato loro radunarsi nei luoghi pubblici, non possono usufruire di alloggi privati. Il 30 settembre le autorità di Bihać hanno svuotato il campo “Bira”, dove erano sistemati circa 500 migranti. I minorenni sono stati trasferiti in altre strutture, e altri, la maggior parte, sono scappati nei boschi vicini dove vivacchiano nei campi improvvisati. Uno di loro, Emran, afgano, ribadisce che nessuno dei migranti vuole restare in BiH: «Sono qui da un anno. Ho provato ad attraversare il confine con la Croazia 17 volte, ogni volta mi riportano indietro. Qui la situazione è brutta». Costretti all’aperto, senza cibo, nei campi di mais, nei boschi, i migranti aspettano l’aiuto delle ong. La gente del cantone Una Sana spera in un aiuto dell’Ue. Secondo il capo della missione in Bosnia dell’Organizzazione internazionale per i migranti (Oim) Peter van der Auweraert «la situazione non è allarmante, questa è terra di passaggio, va trovata una sistemazione, nuovi campi».

La proposta ha irritato il portavoce degli abitanti del comune di Polje, Enver Munjaković: «Noi siamo 20mila e qui ci sono 10mila migranti. Vogliono fare di questo posto il deposito dei migranti che l’Europa non vuole».

Tre anni fa, quando in BiH cominciò l’arrivo di migranti, gli abitanti correvano ad aiutarli, portavano cibo, davano accoglienza nelle case. Mostravano empatia, memori del loro passato, quando nella guerra dei Novanta i bosniaci erano profughi. Ora si è arrivati alle ronde, ai contadini che sparano ai migranti, alle proteste, ai poliziotti bosniaci che picchiano i migranti. Chi aiuta i migranti lo fa di nascosto, le associazioni temono per i membri: è diventato pericoloso essere empatici.

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