Morena è una donna di origini dominicane di 75 anni. Vive a Brooklyn, in una zona ex industriale dove fino a una quindicina di anni fa lavorava in una fabbrica attaccando etichette a vari prodotti alimentari. Non parla inglese ed è convinta di non avere le capacità per riuscire ad impararlo, ma in realtà non ha mai avuto l’opportunità di studiare.

È una donna alta, molto attenta al suo abbigliamento, con vistosi anelli e collane di bigiotteria abbinate a maglie e abiti, spesso decorati con paillettes. Prima dello scoppio della pandemia, nei fine settimana indossava anche parrucche e tacchi per partecipare alle feste e parate latine della città, al punto da diventare celebre nella comunità sudamericana. 

Quando la fabbrica in cui lavorava è stata colpita dalla crisi industriale ed è stata costretta a chiudere, Morena si è trovata senza impiego con un figlio disoccupato. Ha così seguito l’esempio di una conoscente e ha cominciato l’attività di canner, da can, lattina.

Da oltre dieci anni trascorre le giornate spingendo un carrello della spesa per le strade di New York, raccogliendo lattine e bottiglie vuote che poi scambia per 5 centesimi al pezzo. Il suo lavoro è possibile grazie ad una legge statale del 1982, la cosiddetta Bottle Bill, che ha stabilito un deposito cauzionale per incentivare il riciclo. A New York si stima che fra le 8mila e le 10mila persone svolgano il suo stesso lavoro, con intere famiglie che si sostengono grazie a questo impiego. 

In principio Morena era disgustata all’idea di maneggiare la spazzatura, ma ormai svolge questa attività con dedizione e gratitudine. Tanto che ripete spesso che l’unica cosa che davvero importa per lei è lavorare, che morirebbe lavorando. Infatti ci va vicino. Lavora a ritmi molto intensi, iniziando alle sei del mattino e tornando a casa non prima delle cinque del pomeriggio, senza aver mangiato o bevuto niente, dato che ha il terrore di trovarsi in mezzo alla strada con l’urgenza di andare in bagno.

Prima dello scoppio della pandemia guadagnava circa 10mila dollari anno. Con quelli è riuscita a cavarsela in una delle metropoli più care del mondo, condividendo un piccolo appartamento in una casa popolare con una signora più anziana di lei e il figlio, e concedendosi anche qualche paillettes. 

La routine stravolta

Con lo scoppio della pandemia la sua routine, così come le dinamiche delle strade in cui lavora, sono state stravolte, e Morena si è trovata in forte difficoltà. I bidoni adiacenti a bar e ristoranti hanno cessato di essere miniere di contenitori vuoti, e ovviamente molta meno gente ha consumato bibite per strada. Solo i cassonetti degli edifici residenziali sono rimasti una fonte certa.

Morena, per sua fortuna, ha degli accordi con dei superintendent – figure a metà tra l’amministratore e il tuttofare – che gli concedono accesso esclusivo ai bidoni dei condomini in cui lavorano. In cambio, dopo aver messo da parte per sé lattine e bottiglie, Morena svolge un compito che sarebbe loro, ovvero riordina la spazzatura e la dispone sul marciapiede per il ritiro da parte dei camion. 

In generale Morena è sempre di buon umore, ma la pandemia l’ha messa a dura prova anche su quel fronte. Pur prendendo precauzioni con guanti e mascherine, il contesto in cui lavora insieme agli altri canner è igienizzabile fino a un certo punto e questo li ha resi tutti particolarmente vulnerabili. 

Anche perché provengono già da situazioni precarie: sono per lo più immigrati in serie difficoltà economiche o senza documenti, pensionati senza pensione, persone senza fissa dimora, con dipendenze o problemi di salute fisica e mentale, spesso vittime di discriminazione. Per alcuni la pandemia ha rappresentato un ulteriore, insormontabile, ostacolo. Diversi canner di origini cinesi hanno deciso di sospendere l’attività per il timore di essere aggrediti per strada. 

Morena non si è fermata ed è così riuscita a guadagnare abbastanza per superare anche questa crisi. Mentre nelle città italiane le persone che svolgono attività cosiddette “informali” – ad esempio coloro che vivono riciclando e rivendendo oggetti trovati per strada o nei cassonetti – sono state costrette a sospendere il lavoro durante i lockdown, i canner di New York hanno potuto continuare.

Lavoratori essenziali

Il fatto che la loro attività contribuisca ad un preciso programma per il riciclo li ha infatti resi “lavoratori essenziali”, seppur operanti in una zona grigia del diritto e dunque non inclusi nei piani di sostegno. 

Il loro contributo al successo del Bottle Bill è innegabile. Secondo le stime dello stato di New York, nel 2020 il programma per il deposito cauzionale di bottiglie e lattine ha aiutato a raccogliere e riciclare 5,5 miliardi di contenitori. Inoltre, nell’arco degli anni, la spazzatura sui marciapiedi è stata ridotta del 70 per cento.

I risultati ambientali, innegabili, sono infatti quelli che vengono citati quando si discutono possibili e necessarie revisioni della legge, mentre il più controverso impatto sociale – quello che di fatto crea un sistema di welfare informale, o meglio accidentale – rimane l’elefante nella stanza completamente ignorato. 

«Purtroppo è un argomento che non si tocca», conferma Judith Enck, che ha lavorato alla stesura, quasi quarant’anni fa, del primo Bottle Bill dello stato di New York. Enck, che ora insegna al Bennington College, durante l’amministrazione Obama è stata anche amministratrice regionale per la Environmental Protection Agency, l’agenzia federale per la tutela dell’ambiente, ed è fondatrice di Beyond Plastics.

Anche per lei il risvolto sociale del Bottle Bill è stato inaspettato e sorprendente. Quando aveva contribuito a stabilire il programma di deposito cauzionale, insieme ai suoi colleghi immaginava più che altro ai ragazzini che potevano racimolare qualche dollaro raccogliendo lattine e bottiglie tra i vicini di casa, non certo al mantenimento di intere famiglie.

In realtà il Bottle Bill rivelò da subito il suo doppio potenziale.«Al tempo eravamo sotto l’amministrazione Reagan, che ha colpito duramente le persone più povere», ricorda. Bottiglie e lattine diventarono improvvisamente una potenziale fonte di sopravvivenza e non essendoci ancora un programma strutturato per il riciclo, l’attività dei primi canner – che Enck chiamava redeemer – era molto apprezzata. 

Nonostante dal 1982 il valore di 5 centesimi si sia ridotto quasi a un terzo, il numero dei canner è stato in costante aumento. C’è chi svolge l’attività di raccolta per arrotondare o ricavare il minimo indispensabile per comprarsi da mangiare, e chi lavora in maniera estremamente organizzata e strategica riuscendo a guadagnare anche duecento dollari in una sola giornata.

Alcuni dichiarano di farlo come scelta radicale: sopravvivono alla povertà rifiutando di prendere parte al sistema che la genera, contribuendo anche alla tutela dell’ambiente. Con le conseguenze della pandemia e un tasso di disoccupazione che lo scorso anno nella città di New York ha sfiorato il 20 percento, il numero dei canner è ora destinato a crescere in maniera forse ancora più rapida. 

Eppure le proposte per espandere il Bottle Bill non contemplano questo risvolto sociale. «La povertà non è affrontata adeguatamente né dai legislatori, né dai mezzi di informazione», spiega Enck. «È come se si desse per scontato che questo regno informale possa bastare a sé stesso e si mantenga in piedi da solo, ma non è così. Ha bisogno di sostegno». 

Ridiscutere la legge

Questo stesso atteggiamento si sta riproponendo anche adesso ad Albany, la capitale dello stato di New York, dove nel 2019 l’amministrazione del governatore Andrew Cuomo ha proposto una significativa espansione del Bottle Bill.

La proposta è rimasta ferma sul tavolo per talmente tanto tempo da essere caduta nel dimenticatoio. In ballo c’è l’inclusione di contenitori di quasi tutte le bevande non gassate, come le bibite energetiche, tè freddo e succhi, oltre che l’aumento del deposito a 10 centesimi. I lavoratori del settore inoltre sperano che si aumenti anche la cosiddetta handling fee ovvero la cifra intesa a coprire i costi per lo smistamento e divisione dei contenitori in base a brand e dimensioni per rendere possibile il ritiro da parte dei diversi produttori.

È grazie alla handling fee, attualmente pari a 3,5 centesimi per contenitore, che a New York esistono i centri di raccolta conosciuti come redemption center che rendono possibile l’attività dei canner. Le macchinette fuori dai supermercati sono infatti spesso intasate o bloccate, ed in ogni caso non sono abbastanza capienti per contenere tutto quello che viene raccolto in ore di lavoro.

Prima della pandemia si contavano circa 40 redemption center sparsi per tutta New York – ad eccezione di Manhattan dove l’attività è troppo poco redditizia per trovare ancora posto. Ora diversi centri hanno dovuto chiudere, ma quelli che sono sopravvissuti stanno registrando un ritorno alla normalità dopo la crisi della scorsa estate.

Tra questi Sure We Can, il redemption center frequentato da Morena. A New York è l’unico ad operare come non profit, di fatto offrendo uno spazio non solo di lavoro, ma anche di condivisione e ascolto per centinaia di canner. Nel 2019, a pieno regime, da Sure We Can sono passati circa 12 milioni di contenitori di latta, plastica e vetro. 

«Il canning rappresenta un modo per ridistribuire la ricchezza, cinque centesimi alla volta», spiega Ana Martinez de Luco, una suora di origini basche che più di dieci anni fa ha contribuito a fondare il centro (de Luco è una suora atipica, si definisce una street nun, una suora di strada perché non solo si impegna per aiutare i senza tetto, ma vive come tale).

Questi centesimi vanno così ad alimentare l'economia di quella che si è lentamente svelata ai miei occhi come la città orizzontale, in opposizione alla più visibile metropoli verticale. Tuttavia la ricchezza rappresentata dai rifiuti agli angoli delle strade è ovviamente ambita anche dall’alto. A New York è reclamata dalla Sims Municipal Recycling, una divisione della multinazionale Sims, che nel 2008 ha firmato un contratto ventennale con la città per occuparsi della raccolta e smaltimento dei rifiuti riciclabili.

La principale fonte di rendita dell’azienda non è il compenso che riceve dall’amministrazione cittadina per svolgere il servizio, quanto piuttosto la rivendita dei materiali – soprattutto plastica e latta – sul mercato internazionale. Secondo gli accordi, qualora Sims non riesca a raccogliere una certa quantità di materiale di valore, la città deve pagare alla società un extra. 

È anche da qui, e dall’attività di lobbying che Sims e altre compagnie coinvolte svolgono a livello statale e cittadino, che deriva la resistenza delle autorità politiche sostenere l’attività del canning, riconoscendone l’importanza non solo a livello ambientale.

Il dibattito sull’espansione o introduzione di un programma di deposito cauzionale non dovrebbe più ignorare questo aspetto. E ciò vale non solo per gli stati americani (solamente una decina hanno già adottato un Bottle Bill, e ad ogni modo si tratta per lo più di leggi che necessitano di aggiornamento). Anche in Europa si avvertono spinte affinché il sistema, già in vigore in otto stati, venga esteso.

Lo dimostra un recente report dell’organizzazione non profit  Reloop, secondo il quale grazie al deposito cauzionale si ridurrebbe del 75 percento lo spreco di materiale riciclabile. Tuttavia, anche in questo caso, l’aspetto sociale non è contemplato. 

«Quando si crea un virtuoso sistema di accesso ad una risorsa è ovvio che questa venga ricercata da chi ne ha più bisogno», spiega Martinez de Luco. Secondo lei, il mancato riconoscimento di questo risvolto ha un nome preciso: aporophobia, paura della povertà.

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