La solitudine dei gazawi: «Hamas sta riprendendo il controllo della Striscia»

Un piccolo gancetto a uncino per tener chiusi i due lembi della tenda non riesce a reggere alle raffiche di vento e in pochi attimi anche quell’esile tetto sulla testa non lascia i suoi abitanti senza protezione. A Gaza è arrivata la pioggia. Dalle prime luci dell’alba di ieri, un acquazzone ha investito l’intera Striscia e in pochi attimi le tende si sono trasformate in stagni. «Come faccio a far dormire i miei figli qui?». Marja Abu Mohammed Alaa mostra il fondo della sua capanna completamente zuppo mentre i suoi bambini, ancora ignari del mondo degli adulti, saltellano nelle pozzanghere con i sandaletti, divertendosi come matti. Il raffreddore in agguato o il gelo che sentiranno dopo non sono una loro preoccupazione, ma per gli adulti è diverso. «È frustrante vivere ancora così, senza una vera casa, senza un pavimento», si lamenta Marja mentre alza da terra i materassini dei suoi figli per progettarli dall’acqua, che intanto continua a entrare nella tenda. Tutto il campo profughi di Khan Yunis e Deir al Balah è diventato un gigantesco pantano. Pace, lavoro e dignità: nelle piazza per Gaza converge ogni lotta Fango ovunque Il fango ha invaso ogni cosa e in alcuni punti, soprattutto sulla spiaggia di Al Mawasi, alcune tende hanno iniziato a cedere. «Il terreno si sta inzuppando d’acqua e i pali che reggono i teloni stanno cominciando a cedere - spiega il giornalista Hassan Isdodi - perché la sabbia frana e rischia di venir giù tutto. È già successo un paio di volte da questa mattina». La pioggia non ha dato tregua tutto il giorno e gran parte della Striscia si è completamente allagata. «È un disastro, come vivremo in queste condizioni?», dice Maher Hegazy, che vive a Khan Yunis in un accampamento di una decina di tende. Nella serata di venerdì la situazione è diventata molto difficile perché, non essendoci sistema fognario, la pioggia si mescolata ai liquami e alle acque di scarico creando una poltiglia virulenta e nauseabonda. Anche le organizzazioni sanitarie sono preoccupate, perché questa condizione può far diffondere molte malattie: dalle infezioni più innocue a quelle più gravi, senza contare colera e tubercolosi. Il sole dovrebbe tornare lunedì, ma l’inverno e lungo e rispetto all’anno scorso, oggi ci sono il quadrupolo delle persone nelle tende. Ecco perché è necessario che gli aiuti continuino ad arrivare, soprattutto le attrezzature per il freddo, con nuovi tendoni idrorepellenti, teloni isolanti, coperte e stufe. «Stanno entrando ancora troppi pochi camion al giorno - riferiscono i giornalisti locali - e quelli contenenti le dotazioni per l’inverno sono ancora bloccati, messi da Israele in fondo alla lista delle priorità». Intanto, però, sembra proprio che sulla gestione degli aiuti umanitari sia tornato lo zampino di Hamas. Mentre il team di ricerca dei corpi degli ostaggi ancora sta lavorando per trovare quelli che mancano all’appello, il resto del gruppo si è ricompattato. Altro che disarmo. La fase uno del piano di pace Trump è in stallo e la seconda sembra esser stata più volte montata e smontata dai mediatori. Le fonti dicono che la struttura di potere che dovrebbe sostituire Hamas ancora non è stata pensata concretamente e frattanto, dunque, il gruppo terrorista recupera il potere. «Ormai hanno ripreso in mano le redini di molte cose - racconta il giornalista Isdodi – compreso la distribuzione di cibo e altri beni. Per riconquistare i cittadini di Gaza stanno imponendo ai commercianti dei prezzi molto bassi e così, la gente è tornata a comprare pollo e verdura, cosa che non faceva da quasi un anno». Per ora Hamas non ha il controllo su tutti gli aiuti: il 90 per cento della gestione è in mano alle Ong, ma gli affari dell’organizzazione si espandono velocemente. Secondo il racconto delle fonti, Hamas ha anche messo delle tasse su benzina e sigarette, perché, dicono, ha bisogno di soldi per rifinanziarsi. Ma i gazawi non ci stanno cascando e aspettando tutti che il piano di pace promesso dal presidente Usa si concretizzi. Le mediazioni tra i partner sono ancora in atto, ma nel pieno delle discussioni irrompe la Russia. Ieri Mosca ha presentato al Consiglio di sicurezza Onu una propria bozza di risoluzione su Gaza, in opposizione a quella americana. Nel testo della proposta, non viene ipotizzato alcun board of peace, ma si affida al segretario generale in persone il compito «di valutare le opzioni per il dispiegamento della Forza internazionale di stabilizzazione». Moschea in fiamme: l’assalto dei coloni in Cisgiordania Ingerenza invasiva Vladimir Putin, avvertendo il fastidio dell’amico Bibi per l’invasiva ingerenza americana sulla questione Gaza, entra dritto a sparigliare le carte. Nella bozza di proposta, infatti, non è previsto il ritiro dell’Idf dalla Striscia: un piccolo contentino per rinvigorire i rapporti con Tel Aviv. Immediata, però, è arrivata la risposta dalla Casa Bianca. «I tentativi di seminare discordia avranno gravi conseguenze per i palestinesi», ha fatto sapere la missione Usa. L’Onu dovrà discutere di questo piano, anche non ci sono tante possibilità che vada avanti, mentre sarà l’Unione europea a discutere di un altro aspetto del piano di pace. La prossima settimana, infatti, i ministri degli Esteri dell'Ue discuteranno la proposta di formare tremila agenti di polizia palestinesi con l'obiettivo di schierarli in seguito a Gaza. Lo studio delle diverse opzioni è sulla carta, ma è sul terreno che i gazawi hanno immediato bisogno di aiuto. Per sopravvivere all’inverno, per superare la guerra, per resistere ad Hamas.