Non c’è più spazio per la neutralità. La Finlandia ha scelto la Nato, e anche se manca ancora qualche passaggio formale, la strada è presa. La decisione di abbandonare definitivamente la politica di non allineamento non è soltanto una scelta militare, per i finlandesi: è una svolta sentimentale e una virata strategica.

Nel giro di pochi mesi una larga fetta di opinione pubblica, che prima esitava, si è convertita all’idea che entrare nell’alleanza sia la cosa da fare; e anche l’arco delle forze politiche ha maturato la scelta. La Svezia si muove nella stessa direzione. «La Russia sarà costretta a prendere misure di rappresaglia», ha detto il Cremlino una manciata di minuti dopo la dichiarazione del presidente e della prima ministra finlandese in favore dell’adesione; «la Russia potrebbe tagliarci le forniture di gas da domani», ha scritto poi un tabloid finlandese.

Mosca ha fatto precedere l’aggressione dell’Ucraina dalle sue pretese formali di ritirata dell’alleanza, e dopo pochi mesi di guerra la conseguenza è quella opposta: la Nato va a presidiare un nuovo fronte settentrionale. Esulta la Polonia, il cui governo, fido alleato degli Usa, sostiene la linea più dura verso la Russia. E partecipa al piano il Regno Unito, il cui premier, in cerca di protagonismo internazionale dopo Brexit e in fuga dai guai interni dopo gli scandali delle feste che lo hanno travolto, usa i toni più forti contro Vladimir Putin. Resta da vedere quali saranno gli effetti di questa mossa sul già esile percorso per la pace, che sia l’Eliseo sia Mario Draghi hanno provato in questi giorni a rivitalizzare. «La Russia non deve sentirsi minacciata, siamo un paese amante della pace», è il segnale inviato dal ministro degli Esteri finlandese.

Una svolta storica

«Sono felice e orgoglioso di questa decisione: è da anni che dico che dovremmo aderire alla Nato. Negli anni Novanta, quando ero giornalista, ho vissuto sei anni in Russia come corrispondente. La politica russa è diventata sempre più aggressiva, e di fronte a questa vocazione imperialista la decisione di oggi è la più giusta». Nils Torvalds, figlio del poeta Ole, e padre del genio dell’informatica Linus, il fondatore di Linux, siede ormai da dieci anni nell’Europarlamento, tra le file dei liberali. Nel 2017, durante le elezioni presidenziali in Finlandia, Torvalds era il solo a indicare apertamente la strada dell’adesione.

In piena campagna elettorale, quando ancora solo un finlandese su cinque era d’accordo sull’ingresso nell’alleanza atlantica, diceva: «Quando la crisi colpirà sarà troppo tardi».

La politica di non allineamento militare della Finlandia ha radici lontane e gli oltre mille chilometri di confine con la Russia servono a contestualizzarla. La Finlandia ottiene l’indipendenza nel 1917 dopo secoli di dominazione svedese e russa. Nel 1948, con un trattato di amicizia e cooperazione con l’Unione sovietica, il paese si impegna a difendersi da attacchi della Germania o dei suoi alleati, e resta fuori così dal blocco militare sovietico. Il percorso verso l’Europa si delinea a cominciare dal 1992, con la domanda di adesione alla comunità europea. Oggi la Finlandia è non solo nell’Ue, ma anche nell’eurozona. Il dibattito sull’adesione all’alleanza si è intensificato a cominciare dal 2014 – dopo che la Russia ha sconfinato più volte nello spazio aereo finlandese – con la firma di un memorandum of understanding con la Nato. L’aggressione russa dell’Ucraina ha fatto maturare l a scelta.

«Durante questa primavera, ha avuto luogo il dibattito sul tema: è servito tempo per lasciare che il parlamento e l’intera società definissero le loro posizioni in materia, ma anche per stringere contatti internazionali con la Nato e i suoi paesi membri, così come la Svezia», hanno detto questo giovedì nella loro dichiarazione congiunta la prima ministra Sanna Marin e il presidente Sauli Niinistö. «Far parte della Nato rafforzerebbe la sicurezza della Finlandia, e come membro dell’alleanza la Finlandia a sua volta rafforzerebbe l’alleanza. Il nostro paese deve presentare domanda di adesione senza tergiversare. Speriamo che tutti i passi necessari siano fatti rapidamente in questi giorni».

Il sentimento e la strategia

Questo venerdì il partito socialdemocratico, al quale appartiene la prima ministra, dichiarerà la sua posizione, e domenica l’intera coalizione di governo farà altrettanto. Servirà poi un passaggio parlamentare per avviare formalmente il passaggio, ma è questione di giorni.

«È impressionante quanti finlandesi siano favorevoli oggi a questa scelta», commenta Andrea Ruggeri, professore di Relazioni internazionali all’università di Oxford, e che in queste ore si trova proprio a Helsinki.

Rispetto al 2017, quando Torvalds predicava in solitaria l’adesione e solo il 20 per cento di finlandesi sosteneva l’idea, o anche semplicemente rispetto a meno di un anno fa, il sentimento è cambiato profondamente: oggi oltre tre finlandesi su quattro sostengono l’adesione. «Per i socialdemocratici, che erano profondamente legati alla politica di non allineamento, è stata una svolta pesante, ma sono convinto che ora la sosterranno», dice Torvalds. Altrettanto faranno i trenta membri Nato, il cui consenso è necessario: «L’adesione avverrà senza intoppi e rapidamente», ha detto il segretario dell’alleanza, Jens Stoltenberg.

Nel frattempo, mercoledì Boris Johnson ha siglato un patto di sicurezza con Finlandia e Svezia, per garantire l’invio di truppe in caso di aggressione russa.

L’estensione della Nato non rischia di favorire una escalation? Il presidente finlandese risponde così alla domanda: «L’aggressione russa ha cambiato il quadro, mostra che sono pronti ad attaccare un paese vicino. Mi chiedete delle reazioni della Russia, la mia risposta per la Russia è: voi, avete causato questo. Guardate nello specchio». La scelta di aderire non si riduce alla ricerca di un ombrello militare, e infatti presidente e premier sottolineano anche il contributo che la Finlandia può dare all’alleanza. «Siamo meglio equipaggiati di tanti paesi europei», dice Torvalds.

«Il nostro ingresso rafforza il bordo settentrionale e favorisce una “europeizzazione” dell’alleanza, casomai in futuro gli Stati Uniti si disimpegnassero dallo scenario europeo». Un’Europa che si rimilitarizza è del resto proprio ciò che Washington auspica.

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