Qualunque straniero si sia recato in visita a Seul ha quasi certamente avuto l’opportunità di recarsi a Itaewon, nel distretto di Yongsan. La ragione è semplice, dato che si tratta di uno dei quartieri – anche se sarebbe più preciso parlare di una singola strada principale dalla quale si diramano una serie di strettissime stradine laterali – più cosmopoliti dell’immensa capitale sudcoreana (Seul conta una popolazione totale di circa 10 milioni di persone e una densità di quasi 16mila abitanti per chilometro quadrato), un luogo in cui i banchetti del kebab, i lussuosi ristoranti italiani e i tradizionali barbecue coreani convivono con i negozi dei più importanti marchi occidentali, i night club e i bar alla moda.

Per molti decenni, la popolarità di Itaewon è stata dovuta, in gran parte, alla presenza dell’enorme base militare in cui vivevano le forze americane di stanza in Corea del Sud; sebbene, nel 2018, gli statunitensi si siano spostati a Camp Humphreys, a una settantina di chilometri da Seoul, Itaewon non ha perso il suo fascino, aumentando anzi la propria forza di attrazione nei confronti dei giovani coreani.

Cos’è successo

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Negli ultimi anni, proprio nel periodo di Halloween – diventato un appuntamento molto popolare in Corea – le strade di Itaewon si erano riempite di giovani, stranieri e autoctoni, mascherati e in cerca di divertimento. Persino quando la pandemia aveva contribuito allo “svuotamento” temporaneo di Itaewon – in cui, proprio a causa della sua pulsante vita notturna si erano registrati molteplici casi di contagio – i ragazzi avevano provato a riappropriarsi di una parvenza di normalità dando vita a festeggiamenti in maschera, seppur in forma molto contenuta per via delle limitazioni imposte dal Covid-19.

Nella serata di sabato, però, le cose hanno preso una piega diversa, dato che per la prima volta dopo quasi tre anni i vincoli determinati dalla pandemia erano caduti: in buona sostanza, ciò significava che non si sarebbe dovuto necessariamente indossare la mascherina protettiva né tenere conto di una quota massima di persone che avrebbe potuto avere accesso alla zona.

L’afflusso incontrollato – stando ai dati della metropolitana di Seul circa 130mila persone hanno viaggiato verso e da Itaewon nel corso della notte di sabato – ha finito per causare 154 vittime, tra cui 26 stranieri, tutte di giovanissima età. Trovatisi intrappolati in una strada senza vie di fuga, i ragazzi hanno cominciato a cadere gli uni dopo gli altri, dando vita a una sorta di “effetto domino” che ha reso quasi impossibile rialzarsi: il terrore e l’asfissia hanno fatto il resto.

Pochi agenti

Vari sono stati i motivi che hanno condotto a una tragedia immane che, forse, si sarebbe potuta evitare. La ragione più rilevante è certamente relativa alla sostanziale assenza delle forze di polizia e, quindi, di qualunque forma di gestione dell’enorme folla che ha preso a riversarsi nelle strade di Itaewon.

Da quanto è stato possibile ricostruire, solo 137 agenti erano stati destinati al pattugliamento della zona, peraltro allo scopo precipuo di intervenire contro possibili attività illecite come il consumo di stupefacenti e controllare il traffico automobilistico che avrebbe potuto svilupparsi in quell’area. Ciò risulta abbastanza incredibile, visto che comunque le autorità erano certamente a conoscenza del fatto che l’afflusso di gente verso Itaewon sarebbe stato massiccio.

Appare, quindi, incomprensibile la scelta di inviare più di 7mila agenti verso piazza Gwanghwamun, in un’altra zona della capitale, al fine di monitorare una manifestazione di protesta inscenata dalle forze anti governative che ha richiamato una folla immensamente più ridotta di quella coagulatasi a Itaewon.

Il governo, per bocca del ministro dell’Interno, Lee Sang-min, ha sostenuto che non c’era alcuna possibilità di prevedere questa tragedia, anche se moltissimi esperti continuano a sostenere il contrario. Risulta addirittura paradossale che la task force approntata per chiarire le cause dei drammatici eventi di Itaewon sia costituita da 475 membri, vale a dire un numero tre volte più ampio delle forze di polizia presenti in loco sabato notte.

Senza organizzatori

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In secondo luogo, è necessario sottolineare la spontaneità dell’evento e l’assenza di qualunque comitato di organizzazione, che, sostanzialmente, si è tradotto nella mancanza di supervisione e controllo. In Corea, stando alla Legge sulla sicurezza e gestione dei disastri, coloro che vogliono dare vita a un evento pubblico che preveda la partecipazione di un numero superiore a mille persone sono obbligati a tracciare un piano per la gestione della pubblica sicurezza, oltre a informare e coinvolgere le autorità locali.

All’inizio di ottobre, per esempio, nella stessa zona si è tenuto lo Itaewon Global Village Festival, un evento annuale il cui obiettivo è quello di sostenere il turismo mediante la pianificazione di una serie di eventi (parate, concerti, stand gastronomici e molto altro): l’organizzazione di questo evento, però, è gestita direttamente dall’organizzazione per il turismo di Itaewon con il supporto dell’amministrazione locale e distrettuale.

Ciò significa meramente che in occasione del festival le strade di accesso a Itaewon sono state interdette al traffico, lasciando così la possibilità che la massa di gente avesse uno spazio di movimento molto più ampio. Sabato scorso, invece, nonostante l’enorme afflusso di gente, nessuno ha preso in considerazione la possibilità di bloccare temporaneamente le corse della metropolitana verso Itaewon, il traffico automobilistico non era stato interrotto ed è stato deviato solo dopo che la catastrofe si era ormai consumata, rendendo peraltro estremamente difficoltoso l’accesso a quell’area da parte dei mezzi di soccorso.

È ovvio che l’assenza di un comitato organizzatore renda oltremodo complicata l’individuazione di responsabilità penalmente rilevanti. Proprio per questa ragione il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha dichiarato che un sistema di gestione della pubblica sicurezza debba essere previsto anche in occasione di eventi non disciplinati da alcun comitato organizzatore.

Le stradine

Una terza ragione ha a che fare con la conformazione del territorio di Itaewon, composto da stradine molto strette (quella dove si è verificata la tragedia è larga meno di quattro metri) e impervie, sui lati delle quali si raduna un numero imprecisato di locali notturni. In questi “budelli” la gente cammina in ambedue le direzioni, senza alcuna regolamentazione del senso di marcia dei pedoni, una consuetudine peraltro ampiamente in voga in varie megalopoli asiatiche. Una tale eventualità non era stata contemplata.

Non è la prima volta che tragedie del genere accadono in Corea: nel 2005 11 persone rimasero uccise dalla calca in occasione di un concerto a Sangju; nell’aprile del 2014, 304 persone – perlopiù studenti liceali – persero la vita nell’affondamento del traghetto Sewol, che rivelò l’inconsistenza delle normative sulla pubblica sicurezza.

È certamente giunto il momento in cui, oltre ad assicurare un indennizzo per le famiglie dei giovani scomparsi in quest’immane tragedia, il governo centrale e quelli periferici si impegnino per trovare delle soluzioni efficaci a questo genere di calamità, dando concreta attuazione a normative e linee guida efficaci per scongiurare che eventi di questo genere possano verificarsi nuovamente in futuro.

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