Fino a qualche settimana fa sembrava un’ipotesi remota l’avvio di un’indagine alla Camera per determinare se Joe Biden abbia o meno commesso dei reati che possano portare al suo impeachment.

Poi qualcosa è cambiato: anche i repubblicani più centristi e quindi scettici su quella che definivano una “battuta di pesca” per scovare potenziali crimini commessi dal presidente in connessione al giro di affari del figlio Hunter Biden, alla fine si sono allineati con il volere della maggioranza del gruppo, che ha votato per l’avvio dell’inchiesta con 221 voti favorevoli contro 212 contrari (tutti di parte dem).

Alla ricerca di qualcosa

Un’indagine da parte della commissione giustizia era già iniziata lo scorso settembre, ma fino ad oggi non aveva trovato granché. Qualcosa però è successo quando il 12 dicembre Hunter Biden, anziché presentarsi in audizione di fronte ai deputati aveva preferito fare una conferenza stampa di fronte alle scale del Campidoglio dove accusava i rappresentanti repubblicani di «distorsioni» e «manipolazioni».

Il figlio del presidente ha poi aggiunto che Biden non è coinvolto «dal punto di vista finanziario» nel suo giro di affari che riguarda imprenditori cinesi e anche una compagnia privata energetica ucraina, nel cui consiglio di amministrazione Hunter sedeva come membro.

Anziché calmare le acque, la dichiarazione di Biden jr le ha smosse in modo definitivo. Il figlio del presidente ha sbagliato varie mosse: dapprima, ha violato un mandato di comparizione del Congresso, per di più con l’aiuto del deputato Eric Swalwell che gli ha concesso il “diritto di tribuna” proprio davanti al luogo dove avrebbe dovuto deporre di lì a poco.

Il deputato dem rappresenta il distretto californiano dove risiede il figlio di Biden. Swalwell peraltro ha avuto un ruolo nel preparare i due impeachment dei quali è stato protagonista Donald Trump.

Il suo impegno delle ultime settimane per scagionare Hunter agli occhi dei repubblicani è apparso quasi insultante. Ken Buck del Colorado, uno dei più scettici repubblicani della vigilia, alla fine ha deciso di votare a favore dopo questo passo falso di Hunter Biden.

Lo scorso 17 novembre, inoltre, l’avvocato della Casa Bianca Dick Sauber aveva inviato una lettera al Congresso chiedendo di annullare le indagini e mettendo in discussione la loro legittimità.

Un evento che ha spinto il gruppo repubblicano, diviso un po’ su tutto, dal sostegno all’Ucraina al budget per la Difesa, a serrare le fila.

Il passo decisivo

La scelta di Sauber aveva fatto infuriare il nuovo speaker della Camera, Mike Johnson, che fino ad allora aveva tenuto profilo basso e atteggiamento dialogante nei confronti della Casa Bianca.

Con un editoriale pubblicato martedì su Usa Today, Johnson aveva dichiarato che era «necessaria un’indagine con piena legittimità legale, sostenuta da un voto dell’assemblea», voto che sarebbe poi arrivato il giorno dopo, mostrando una risposta unitaria a quella che è stata percepita come un’ingerenza indebita di Biden senior.

Il presidente, secondo le ricostruzioni pubblicate dal magazine online Axios, sarebbe particolarmente arrabbiato e dispiaciuto per le vicende che coinvolgono il figlio, ma difficilmente subirà conseguenze gravi.

Qualora le indagini si risolvessero in un voto favorevole alla sua messa in stato d’accusa, al Senato i dem possono contare su una maggioranza di 51 senatori. Inoltre, alcuni senatori moderati repubblicani, come Mitt Romney dello Utah e Shelley Moore Capito del West Virginia, pur dicendo di non volersi “intromettere” nelle prerogative dell’altro ramo del Congresso, hanno dichiarato che nelle indagini delle scorse settimane si è trovato ben poco di “sostanzioso”.

Di sicuro non basta loro la teoria con scarsi fondamenti propugnata dal presidente della commissione Giustizia Jim Jordan che sostiene che Biden a inizio 2016 avrebbe pressato l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko affinché licenziasse il procuratore generale Viktor Shokin per fermare le indagini su Burisma, l’azienda nel cui consiglio d’amministrazione sedeva proprio Hunter, un’ipotesi che viene largamente smentita anche da molti attivisti anticorruzione ucraini.

Nulla di concreto per il presidente, se non un altro tassello che verosimilmente ne farà calare la già scarsa popolarità e che di converso rafforzerà le flebili voci in campo progressista che chiedono un ricambio, finora limitate al solo deputato Dean Phillips del Minnesota, che si è candidato alle primarie presidenziali dei dem, ma sostenute dall’opinione di diversi commentatori d’area, primo tra tutti l’editorialista del Washington Post David Ignatius.

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