Quando nel 2022 il leader del Democratic unionist party Jeffrey Donaldson ha iniziato il boicottaggio politico, in protesta contro le conseguenze degli accordi post Brexit, non era sicuro di come potesse finire. Sapeva però cosa comportava la sua scelta: l’Irlanda del Nord si sarebbe bloccata senza governo e senza un parlamento funzionante. E così è stato. Gli Accordi del Venerdì santo del 1998 impongono la presenza nel governo condiviso sia del principale partito unionista sia di quello nazionalista; senza uno dei due, l’esecutivo non può funzionare. Per questo i repubblicani dello Sinn féin, nonostante la vittoria alle elezioni del maggio 2022, finora non hanno potuto governare.

Due anni dopo gli unionisti hanno deciso di rientrare a Stormont, il parlamentino di Belfast. Le estenuanti trattative tra il Dup e Londra si sono concluse: l’accordo trovato - il “Safeguarding the Union” - prevede un’ulteriore riduzione dei controlli burocratici sulle merci che dal resto del Regno Unito arrivano in Irlanda del Nord per restarci. Il premier Rishi Sunak, con il Segretario per il Nord Irlanda Chris Heaton-Harris, ha spinto per questo accordo pragmatico, nonostante i malumori pressanti dei Brexiteers più radicali. Ma anche il Dup ha ricevuto forti critiche dagli unionisti più duri, specialmente dal Traditional unionist voice del 70enne Jim Allister, pronto a raccogliere consensi tra i lealisti delusi.

Stanziamento da Londra

Ma con il ritorno del governo, Londra stanzierà 3,3 miliardi di sterline, essenziali per sostenere i servizi pubblici nordirlandesi in grande difficoltà. Negli ultimi mesi sono andati in scena diversi scioperi con infermieri, insegnanti, lavoratori del settore dei trasporti e altri dipendenti pubblici che hanno incrociato le braccia. Il 18 gennaio ne è stato organizzato uno con circa 100mila persone scese in piazza per chiedere migliori retribuzioni, bloccate da tempo e senza investimenti anche a causa del prolungato stallo politico.

Sabato, a seguito di trattative tra i partiti e del patto tra il Dup e Londra, l’Assemblea di Stormont è stata convocata. Dopo l’elezione dell’ex leader del Dup Edwin Poots come speaker, carica che ruota tra unionisti e nazionalisti, è toccato al primo ministro e al viceministro indicati dai partiti e poi ai ministri.

Se il First minister è espressione del partito con più seggi vinti, il suo vice è il rappresentante del principale partito della comunità opposta al primo. Tra i due ruoli non ci sono grandi differenze, a parte quella simbolica nel nome, non irrilevante. Considerate le elezioni del 2022, Michelle O’Neill, leader dello Sinn féin nordirlandese, è diventata primo ministro, mentre il Dup ha nominato Emma Little-Pengelly come vice.

Sanare le divisioni

Per la prima volta nella storia a guidare l’Irlanda del Nord sarà quindi una repubblicana, leader di un partito che vuole l’indipendenza dal Regno Unito. Un segno dei tempi e dei cambiamenti demografici che da anni interessano la regione. O’Neill, 47 anni e figlia di un membro dell’Ira, è stata vice primo ministro tra il 2020 e il 2022. Già prima della sua nomina, si è definita la premier «di tutti» e nel suo discorso in aula ha tenuto una linea conciliante, rassicurando gli unionisti («la vostra identità e le vostre tradizioni sono importanti per me») e dicendosi dispiaciuta «per tutte le vite perse durante il conflitto, senza eccezioni». La sfida è sanare le persistenti divisioni della società nordirlandese.

Proprio la 47enne è stata protagonista di un rinnovamento del partito. Lo Sinn féin, nato come braccio politico dei paramilitari indipendentisti dell’Ira, oggi è cambiato: ha un volto nuovo, non parla solo di indipendenza ma anche di problemi sociali ed economici, attira il voto dei giovani. Anche perché le nuove generazioni sono sempre più distaccate dal settarismo imperante degli scorsi decenni. Il tema dell’indipendenza e di una riunificazione dell’Irlanda, però, pur passando in secondo piano, rimane. La presidente dello Sinn féin, oltre che leader dell’opposizione nella Repubblica d’Irlanda, Mary Lou McDonald, nei giorni scorsi ha infatti affermato come sia «a portata di mano». Un messaggio inequivocabile, anche se tale scenario non è così imminente.

Per adesso la fine dell’impasse politica ha consentito a O’Neill di diventare premier, all’Irlanda del Nord di tornare ad avere un governo - capace di rispondere ai problemi della popolazione di tutti i giorni - e forse di imboccare una strada di cambiamento. A Stormont, a parte Allister, quasi tutti i discorsi sono stati densi di ottimismo per la nuova fase politica. Pur consapevoli che il passato non può essere cancellato e la storia difficilmente rimane in stallo.

© Riproduzione riservata