Il governo dell’Arabia Saudita ha annunciato che, a partire da questo mese, cittadini colpevoli di tagliare o disboscare illegalmente saranno puniti con pene che potranno arrivare fino a un massimo di dieci anni di carcere e di otto milioni di dollari di multa. La nuova misura di Riad rientra in un ambizioso e rischioso progetto economico che la casa regnante ha intrapreso da quattro anni e che potrebbe cambiare il volto dello stato saudita anche da un punto di vista politico.

Una scelta obbligata

L’economia dell’Arabia Saudita è stata finora basata largamente sul petrolio. Il paese è tra i primi produttori mondiali (il secondo secondo i dati del 2020)  è questo gli ha permesso di avere un ruolo di primo piano nel G20. Ma anche le riserve petrolifere saudite non sono infinite e si calcola che entro settanta anni i bacini del paese saranno completamente vuoti. È dal 2014, anno in cui il prezzo del barile ha iniziato a scendere, che  la casa regnante fa i conti con i limiti di un sistema economico basato esclusivamente sul petrolio. Un campanello di allarme che ha spinto il principe ereditario, Mohammed bin Salman, a lanciare nel 2016 il piano Vision 2030 che mira a rendere il paese indipendente dal destino, ormai segnato, dei suoi giacimenti petroliferi. 

Tra fantascienza e pandemia

Il piano Vision 2030 ha un duplice obiettivo: quello di rendere l’Arabia Saudita un hub al centro degli scambi commerciali tra Africa, Asia ed Europa e un paese all’avanguardia nei settori dell’economia verde e dell’high tech. Per ottenere questi risultati sono stati sinora stanziati centinaia di migliaia di miliardi di dollari. Una somma che è stata destinata ai progetti più vari: dalla decisione, annunciata a ottobre dal ministro dell’Ambiente, di piantare dieci milioni di alberi nel regno entro aprile 2021 alla costruzione di una nuova futuristica città chiamata Noem che dovrebbe ospitare un milione di persone nel deserto vicino al Mar Rosso. Ad alimentare la città sarà una nuova fonte di energia che ha da tempo catalizzato l’interesse anche degli Stati Uniti: l’idrogeno verde. Un combustibile che viene prodotto attraverso l’elettrolisi e quindi senza produrre emissioni di carbonio.
«La capacità del regime saudita di garantire una crescita economica dipenderà molto da come saprà utilizzare le nuove tecnologie e soprattutto le energie rinnovabili alcune delle quali, come l’energia solare, sono molto facilmente reperibili nel paese» dice Johannes Urpelainen, professore di Energia, Risorse ae Ambiente alla Johns Hopkins school of advanced international studies.
Nella strategia di “rinnovamento economico” della casa regnante rientra anche la pratica del cosiddetto sportwashing che prevede l’organizzazione di eventi sportivi nel paese con l’obiettivo di far dimenticare al grande pubblico le violazioni dei diritti umani nel paese.

Intanto ci si interroga su quali siano gli effetti dellìemergenza Covid-19 sulla svolta verde del regime. Se infatti da una parte la pandemia, colpendo fortemente i settori dell’energia e dei trasporti, ha reso ancora più urgente per il paese la necessità di separare il proprio destino dal petrolio, dall’altra proprio la crisi dei mezzi di trasporto potrebbe rappresentare un ostacolo all’ambizione saudita di diventare un hub internazionale. Secondo l’Associazione internazionale del trasporto aereo, il traffico di passeggeri non tornerà ai livelli pre crisi prima del 2023.

L’economia verde cresce nel giardino del re?

La storia insegna che le trasformazioni economiche sono sempre legate a doppio filo a quelle politiche. È dunque facile pensare che la diversificazione dell’economia saudita possa avere effetti sul regime, anche se ovviamente è difficile prevedere quali. L’Arabia Saudita è governata dalla famiglia reale degli al Saud e il re ha nelle sue mani il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Il paese inoltre non ha una costituzione anche se esiste dal 1992 un documento che contiene alcune linee guide sul rapporto fra governo e cittadini. L’attuale re è Salman, ma il figlio e principe ereditario, Moḥammad bin Salman, ha già assunto un ruolo di primo piano per le sue azioni volte a riformare il regno. La mancanza di leggi scritte rappresenta un chiaro segno del potere della famiglia che non sente il bisogno di dover codificare il proprio ruolo in un testo scritto visto che nessuno è nella condizione di potere contrastare il suo dominio.
L’assenza di istituzioni nel regime saudita è però dovuta, secondo diversi studi accademici, anche alla mancata diversificazione dell’economia che ha permesso finora alla famiglia reale di concentrare tutto il potere economico e politico nelle proprie mani. «Ma le novità in campo economico potrebbero cambiare questa situazione» spiega Urpelainen secondo cui «la diversificazione economica aumenta il numero di persone influenti e questo significherà un nuovo riassetto del potere in Arabia Saudita in cui la famiglia reale dovrà ridurre giocoforza la sua influenza».  
Inoltre, nota l’accademico «per gestire settori complessi come le energie rinnovabili non basteranno le poche e deboli istituzioni nel paese». Al netto delle conseguenze politiche, il cambiamento economico rimane comunque imprescindibile secondo Urpelainen: «Nel breve periodo, la diversificazione aumenterà probabilmente il rischio di instabilità vista la nascita di nuovi gruppi di potere. Ma la strada dell’abbandono del petrolio è comunque obbligatoria per il regime saudita per evitare che una crisi economica dovuta all’esaurimento dei giacimenti porti a rivolte contro la famiglia reale».

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