All’inviato di Bloomberg che gli ha domandato se gli piacesse confrontarsi con i cittadini in campagna elettorale, Ko Wen-jie ha risposto: «Per niente. Mi sono formato in un reparto di terapia intensiva, i miei pazienti erano intubati, e io non avevo bisogno di parlare con loro».

E giù una risata. I giovani taiwanesi apprezzano anche per questo il “dottor Ko”, l’outsider che alle presidenziali di sabato prossimo si propone come terza via tra il Partito progressista democratico (Dpp) al governo e il Kuomintang (Kmt) all’opposizione, per la schiettezza e l’ironia che lo hanno reso “uno di loro”, un TikToker sessantaquattrenne con la missione di mandare a casa i politici che si spartiscono l’isola dal primo voto democratico nel 1996.

Lo specialista in trapianti di organi che nel 2019 ha fondato il Partito popolare (Tpp) punta a spezzare il duopolio verde-blu conquistando decine di parlamentari e piazzandosi secondo dopo William Lai Ching-te (Dpp) che i sondaggi indicano come nuovo capo del non-stato.

Il primo voto

Poco più di 1 milione di 20-23enni (il 6 per cento dei 19,5 milioni di aventi diritto) che andranno per la prima volta alle urne e tanti indecisi potrebbero infatti scegliere il cambiamento, in una consultazione nella quale - come da tradizione - il convitato di pietra è il dirimpettaio autoritario dall’altra parte dello Stretto, ma che non è un referendum sull’indipendenza dalla Cina.

Stavolta i taiwanesi voteranno, più che nel passato recente, preoccupati per il rallentamento dell’economia, l’inflazione in aumento, i salari minimi troppo bassi e gli appartamenti sempre più cari.

Quattro anni fa, proprio mentre Pechino reprimeva il movimento pro democrazia, alla presidente Tsai Ing-wen e al suo Dpp era bastato agitare lo spauracchio “Oggi Hong Kong, domani Taiwan” per aggiudicarsi un secondo mandato e 63 deputati su 113.

In seguito, nell’estate del 2022, l’Esercito popolare di liberazione inscenò un’inedita prova di blocco navale attorno all’isola. Ma alla fine di quell’anno la tangentopoli di Tainan (una metropoli nel sud del paese) ha portato a galla un sistema di malaffare nel Dpp, che anche per questo - prevedono gli analisti locali - potrebbe subire un’emorragia di consensi.

Se il partito dei taiwanesi-taiwanesi viene percepito da molti come corrotto, anche a quello dei discendenti degli immigrati nel 1949 dalla Cina continentale non mancano gli scheletri nell’armadio.

La moglie di Hou Yu-ih, l’ex capo della polizia candidato presidente del Kuomintang, qualche giorno fa ha dovuto promettere pubblicamente di abbassare gli affitti di un centinaio di alloggi in uno studentato di Taipei di sua proprietà, dai quali secondo la denuncia del Dpp avrebbe guadagnato 10 milioni di dollari, senza pagare le imposte.

Sindaco rigorista

Un caso che ha toccato un nervo scoperto, perché per i giovani è diventato sempre più difficile trovare casa dopo che negli ultimi tempi in tanti hanno ritirato i capitali dalla Repubblica popolare cinese e li hanno reinvestiti nel mattone sull’isola, mandando alle stelle il costo di compravendite e locazioni.

Ko è l’unico tra i tre pretendenti a proporre l’introduzione di una tassazione progressiva per i proprietari di più appartamenti.

Il suo Tpp è un partito personale, nulla a che vedere con le macchine da guerra di indipendentisti e nazionalisti. Nel 2014 Ko era stato eletto sindaco di Taipei con l’appoggio dei primi. Quattro anni dopo si era ripresentato come indipendente, battendo proprio il candidato del Dpp, per un manciata di voti, anche grazie alla propaganda via social media. “Do the right thing, do things right” è il mantra rappato da Ko in un video, diventato virale alla vigilia delle comunali del 2018, nel quale scorrono le immagini del sindaco solo al lavoro di notte nel municipio di Taipei.

A chi gli dà del populista replica: «Non sono come Trump, sono uno scienziato». Ko, che si è dimesso un anno fa per partecipare alle presidenziali e legislative, è un rigorista che crede che il debito non vada trasmesso da chi l’ha contratto alle generazioni successive. Nel 2014, Taipei aveva un passivo di 146,8 miliardi di dollari taiwanesi, che alla fine del 2023 era stato quasi dimezzato, a 82,4 miliardi di dollari taiwanesi (2,6 miliardi di dollari Usa).

Deterrenza e dialogo

Sulle relazioni con Pechino, Ko si presenta come alternativo tanto al Dpp quanto al Kmt, che bolla come “anti-Cina” e “pro-Cina”. Secondo Ko la formula magica per disinnescare la gigantesca mina nel Pacifico occidentale in cui Taiwan è stata trasformata dalla rivalità Pechino-Washington è quella delle due D: deterrenza e dialogo.

Come i suoi avversari, anche Ko vuole aumentare le spese militari, ma con l’obiettivo di raggiungere un giorno la forza di negoziare con Pechino, per non «lasciare il futuro di un paese completamente nelle mani di un altro paese».

A differenza di Lai e Ho, Ko sostiene che bisognerebbe dialogare con Xi Jinping senza porre precondizioni, perché «continuando a dire solo “no”, dopo il “no” si finisce in un punto morto». È favorevole all’accordo di libero scambio Ecfa con la Cina, messo in questione sia da Taipei sia da Pechino con l’avvicinarsi del 13 gennaio.

La settimana scorsa è stata arrestata una candidata indipendente, ex portavoce locale del Tpp, accusata di aver ricevuto finanziamenti elettorali da Pechino e fotografata assieme a Ko durante la campagna elettorale. In molti scommettono che nemmeno questo scatto sarà in grado di scalfire la fama di amministratore onesto che Ko ha saputo alimentare, mostrandosi sempre e comunque “diverso” dai politici di professione.

Perfino con una serie di irripetibili battutacce sessiste (per le quali è stato costretto a scusarsi): politicamente ultra-scorretto nel paese di Tsai Ing-wen, la presidente femminista e paladina dei diritti delle minoranze di genere. Ma lui alla fine - con una mossa “riparatrice” che sa molto di vecchia politica - ha scelto una donna, l’ex analista di Merrill Lynch Cynthia Wu, come sua vice.

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