C’è una frase di Bismarck che si può applicare ai lavori del Congresso negli ultimi anni: «Se vi piacciono certe leggi e le salsicce, meglio che non sappiate come queste vengono realizzate».

Nel 2010 un articolo del New York Times diceva che ormai è molto più sicuro e certificato il processo di produzione degli insaccati. Sui viaggi delle leggi congressuali, invece, il caos, le trattative inconfessabili e i patti segreti sono ancora all’ordine del giorno.

Si è visto con l’approvazione travagliata della legge bipartisan sul rinnovo infrastrutturale, il cosiddetto Bif, da definizione giornalistica. Anche perché la polarizzazione, secondo una ricerca del Pew Research Center, ha portato circa un terzo degli americani a ritenere il partito avversario «una minaccia esistenziale per il benessere della nazione».

Non è quindi facile mettere insieme anche piccole maggioranze bipartisan. Joe Biden è diventato presidente con la promessa di riunificare il paese anche attraverso le “cose concrete” fatte al Congresso, che lui ben conosceva, forte della sua trentennale esperienza da senatore.

Non è andata così e del resto c’era un precedente come quello di Bill Clinton per capire che, per quanto tu possa essere un centrista, difficilmente riuscirai a ottenere consensi bipartisan. E peraltro adesso esistono ben pochi repubblicani centristi su cui fare affidamento per colmare eventuali defezioni tra le proprie scarne file.

Così, infatti, è avvenuto per il Bif. Se prima del voto al Senato la scrittura della legge è stata preparata da un gruppo composto da 5 democratici e 5 repubblicani, quando si è trattato di approvarla l’amministrazione democratica ha ricevuto l’insperato aiuto di ben 19 senatori repubblicani, compreso il temibile capogruppo Mitch McConnell, che oltre ad ottenere molto per il suo Kentucky, ha potuto dimostrare che se le leggi sono “buone” (ovvero digeribili per i repubblicani) non serve togliere l’ostruzionismo di default, che impedisce di approvare agilmente provvedimenti a maggioranza semplice.

Non solo: pensava che alcuni senatori moderati democratici si sentissero infine appagati e lasciassero perdere il temuto Build Back Better act (Bbb), il gioiello della presidenza Biden, tramite il quale si ambisce nientemeno che a superare l’impostazione reaganiana di riduzione della spesa federale e delle tasse attraverso un vasto piano di riorganizzazione del welfare, del sistema dei lavori pubblici e della lotta al cambiamento climatico.

Progressisti traditi

Ed è stato proprio questo allarme a far sì che i progressisti alla Camera si sentissero quindi defraudati dall’amministrazione. Per questa ragione hanno tenuto ostaggio la legge fino alla disfatta in Virginia del ticket democratico e con la riconquista repubblicana delle cariche di governatore, vice e procuratore generale.

Biden ha rinunciato al suo canonico fine settimana in Delaware per istituire una war room e sbloccare l’impasse. Sfruttando una delle figure più impopolari del suo partito: Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti, ha cercato di comporre la frattura tra i progressisti guidati da Pramila Jayapal e i moderati di Josh Gottheimer.

Come? Forzando un voto a sorpresa nella notte di venerdì. Sostenuto da 13 repubblicani moderati (ma non dal’arcinemica di Trump Liz Cheney che si dimostra, ancora una volta, autenticamente conservatrice) che hanno colmato i vuoti lasciati dai sei membri della Squad di Alexandria Ocasio-Cortez, che si sono detti furiosi per essere stati di fatto tagliati fuori dal processo decisionale, come del resto è accaduto spesso negli anni di Trump con i membri del Freedom Caucus, gli estremisti eredi del Tea Party di fine anni Duemila.

Il voto alla fine è stato di 228 a 206. Se nessun repubblicano avesse violato gli ordini del leader di minoranza Kevin McCarthy, visto come troppo prono agli interessi elettorali dell’ex presidente Trump, la legge sarebbe affondata. E si sarebbe dimostrato che a Washington ormai non si può concludere più niente.

E invece no: Gottheimer ha ottenuto che il Bbb fosse analizzato dall’ufficio Budget del Congresso mentre Jayapal, dal canto suo, ha ottenuto l’effettiva calendarizzazione del disegno di legge caro all’amministrazione Biden che già lo ha dovuto dimezzare per placare i preoccupatissimi moderati che temono, oltre all’esplosione di un debito che è cresciuto moltissimo negli anni scorsi, anche di dover presto trovare un altro lavoro dopo aver perso lo scranno nel 2022.

Il destino della Camera

Tutto bene, dunque. Non esattamente. Nancy Pelosi è stata rieletta speaker all’inizio del 2019 con la promessa che avrebbe svolto solo due mandati, cedendo il posto a un sostituto più giovane. Eventualità che però lascia presagire una mancanza delle capacità necessarie per far funzionare una macchina arrugginita come il Congresso, di cui gli americani hanno una pessima opinione ormai da anni.

Non è dato sapere cosa renda un deputato un buono speaker, ma forse il disinteresse per altre cariche elettive come un seggio al Senato o la stessa presidenza sono un buon viatico.

Come dimenticare quando il 1° febbraio 2017, dopo la batosta trumpiana, Nancy Pelosi ha detto davanti a una platea di studenti woke della New York University: «Noi siamo capitalisti. Affrontate la cosa». Difficile, quando alcuni esponenti congressuali badano più alle battute arruffapopoli o alle dirette Instagram che ad approvare le leggi per le quali hanno preso i voti degli elettori.

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