L’iniziativa diplomatica di Lula sulla guerra in Ucraina si arricchisce di un nuovo tassello e si intreccia con quella del Vaticano. Convergenza che potrebbe portare frutti insperati e che disorienterebbe i grandi player occidentali, che non a caso guardano con circospezione, se non addirittura diffidenza, alle mosse di quei paesi che hanno al centro della propria politica internazionale la direttrice della cosiddetta “diplomazia sud-sud”.

Non è un mistero per nessuno, infatti, che la visita in Italia del presidente brasiliano abbia avuto come principale scopo quello di riunirsi con papa Francesco. L’incontro con Mattarella era da protocollo, anche se agevolato dalla stima e dal rispetto reciproco.

Il colloquio con Giorgia Meloni potremmo considerarlo un atto dovuto, al di là delle frasi di circostanza che rimontano all’ottobre dell’anno scorso, quando il nostro premier si congratulò con il capo di stato brasiliano per la vittoria alle elezioni. Frasi ribadite anche ieri.

Quindi, dalla riunione con il presidente del Consiglio non ci si poteva attendere molto. Tra Lula e Francesco c’è sintonia e affinità su molti temi, come la questione della giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani, il dialogo per la pace. Sintonia testimoniata dall’abbraccio immortalato fra i due e da un incontro avvenuto in un clima «di grande simpatia», come ha scritto Vatican News.

 A ciò occorre aggiungere l’interesse palesato dal Vaticano, sin dall’inizio dell’attuale pontificato, per la regione e per il Brasile in particolare, paese non a caso scelto nel 2013 da Bergoglio come destinazione del suo primo viaggio in America Latina.

Allora si disse che quella missione aveva lo scopo di onorare l’impegno assunto dal predecessore Benedetto XVI. In realtà, l’obiettivo era quello di lanciare la controffensiva alle chiese evangeliche nel colosso brasiliano – fondamentale in occasione dell’elezione di Jair Bolsonaro nel 2018 – e in tutta l’area.

Con le successive visite in altri paesi latinoamericani, Francesco volle provare di non aver paura “di inseguire” le “rivoluzioni” del nuovo millennio. E, soprattutto, puntò a confermare il desiderio di conferire maggiore centralità all’area “più cattolica” del pianeta, in cui era presente il 40 per cento dei cattolici a livello mondiale, con Brasile in testa (ma in pandemia gli evangelici hanno superato i cattolici); nonché la regione con le maggiori disuguaglianze economiche e sociali del mondo.

L’incontro tra Lula e papa Francesco deve essere, pertanto, considerato il prodotto della volontà del presidente brasiliano di riportare il Brasile al centro della scena internazionale, trascinandolo fuori dalla zona d’ombra in cui era terminato dopo l’avvento di Michel Temer e, ancor di più, negli anni di Bolsonaro.

Del resto, ci troviamo di fronte a due leader che presentano numerose affinità, se si pensa al fatto che Francesco ha rappresentato, sul piano internazionale, una delle voci più “progressiste” degli ultimi anni.

Lula e Francesco hanno affrontato le questioni della povertà diffusa a livello mondiale e delle diseguaglianze socioeconomiche, notevolmente aggravatesi durante la “crisi pandemica”, e ovviamente i temi ambientali, anch’essi emersi di prepotenza negli ultimi anni.

«Siamo in tempo di guerra, la pace molto fragile», ha detto il papa, ed è naturale che i due abbiano discusso del conflitto fra Russia e Ucraina e della possibilità di mettere in piedi un tavolo di pace. Lula, infatti, ha già manifestato la volontà di attribuire al Brasile un ruolo negoziale, per favorire l’avvio di trattative fra i due paesi in guerra. E di lavorare a un quadro diplomatico alternativo già nell’immediato futuro.

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