Il mancato shutdown del governo federale statunitense ha di sicuro fatto tirare un sospiro di sollievo alla gran parte degli americani. Chi però vede il proprio lavoro a rischio è lo speaker della Camera Kevin McCarthy: il suo nemico giurato Matt Gaetz, deputato della Florida e strenuo seguace dell’ex presidente Donald Trump, lo ha accusato di aver tradito il patto che lo ha portato a essere faticosamente eletto lo scorso gennaio dopo quindici round di votazioni e che prevedeva che consultasse prima tutti i repubblicani prima di trattare con i democratici.

Una posizione che di fatto lo rendeva ostaggio del Freedom Caucus, la corrente di estrema destra composta da 45 deputati: basta la firma di un singolo deputato per iniziare una mozione di sfiducia dell’aula. Così a sfruttare l’occasione è stato proprio Gaetz, che non soltanto vuole accontentare Trump, che è deluso da McCarthy per non aver ricevuto l’endorsement la scorsa estate, ma anche perché ha ambizioni di diventare il nuovo governatore della Florida dopo Ron DeSantis.

Un noioso burocrate

Poi, come riferito da molti analisti, c’è l’antipatia personale: McCarthy è un noioso burocrate nato in una famiglia umile proveniente dalla Central Valley californiana, cresciuto come portaborse del deputato Bill Thomas e asceso man mano nella gerarchia del Congresso, facendo un passo indietro nel 2015 quando era chiaro che non avrebbe conquistato l’ambita carica di speaker.

Gaetz, al contrario, è un politico di nuovo conio: figlio e nipote di politici, entrato in politica prima alla Camera statale della Florida nel 2010 poi al Congresso nel 2017, si è sempre fatto notare per le sue posizioni estreme su migranti, lotta al Covid e sostegno a Trump. Ovvio che tra due personaggi così diversi non potesse scattare un’intesa di alcun tipo.

L’azzardo di Gaetz sulla sfiducia a McCarthy avrebbe dovuto avuto avere un duplice scopo: qualora fosse stato sfiduciato, il suo gruppo di estremisti avrebbe ottenuto nuove concessioni dal nuovo speaker, diventando sempre più potente.

Qualora invece McCarthy fosse stato salvato dal voto dei dem, avrebbe potuto sostenere con una qualche ragione che ormai era più vicino a loro che ai repubblicani. A sorpresa, invece, la proposta di Gaetz è stata accolta con freddezza persino nel suo stesso gruppo: soltanto il deputato Eli Crane dell’Arizona finora ha sottoscritto la sua mozione mentre i democratici, che pure nutrono ben poco amore per un McCarthy che finora si è mostrato molto poco collaborativo, sono propensi a evitare che si intraprenda un nuovo penoso giro di consultazioni per individuare un possibile speaker con un prevedibile aumento del potere della destra radicale.

Un’improbabile alleata

Un esito che comunque indebolirebbe McCarthy agli occhi dei repubblicani ma che farebbe guadagnare tempo al Congresso per arrivare pronti alla deadline del 17 novembre, quando scadranno nuovamente i finanziamenti al governo federale e ci sarà nuovamente bisogno di un accordo tra le parti per far funzionare l’immensa macchina burocratica che fa funzionare gli Stati Uniti.

Anche se Gaetz ha trovato un’improbabile alleata nella deputata Alexandria Ocasio-Cortez, che ha annunciato il suo voto favorevole alla mozione per rimuovere uno «speaker molto debole». Invece un altro membro dell’ala progressista dei dem, il deputato Steve Cohen del Tennessee ha detto che non seguirà il deputato della Florida perché «McCarthy ha fatto la cosa giusta» trovando l’accordo in extremis con i dem.

Questa strana convergenza di interessi tra Gaetz e Aoc, due deputati molto amati dal loro seguito radicale ma poco propensi a lavorare dietro le quinte per forgiare accordi bipartisan può essere commentata con una dichiarazione di un altro rappresentante dell’Ohio, il dem Greg Landsman, che ha detto di Gaetz che è «più interessato ad apparire in tv che a governare».

E che soprattutto, come Aoc, non rischia di non essere rieletto e quindi può permettersi di rischiare tutto. Senza pensare a cose secondarie come svolgere il proprio dovere di deputato anche nelle parti noiose.  

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