Due recenti interventi del papa Francesco hanno richiamato l’attenzione dei media; il primo è il dialogo con i gesuiti portoghesi pubblicato per intero dalla Civiltà Cattolica il 28 agosto e avvenuto durante la Giornata mondiale della gioventù a Lisbona ai primi del mese, il secondo è il colloquio con i giovani cattolici russi, ideale proseguimento del grande meeting portoghese, svoltosi in videcollegamento nei giorni scorsi con i ragazzi riuniti a San Pietroburgo.

L’indietrismo è inutile

Con i confratelli gesuiti il papa è tornato a delineare il modello di chiesa che sta promuovendo attraverso il suo magistero: una Chiesa aperta a tutti, ha ripetuto, secondo quanto proclamato da Gesù, nella quale nessuno deve sentirsi escluso, neanche omosessuali o transgender. In questo senso ha richiamato la situazione della Chiesa americana dove si registra «un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata, che struttura un’appartenenza anche affettiva. A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile, e bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale». Nel concreto Francesco ha fatto alcuni esempi: «Oggi è peccato detenere bombe atomiche; la pena di morte è peccato, non si può praticare, e prima non era così; quanto alla schiavitù, alcuni pontefici prima di me l’hanno tollerata, ma le cose oggi sono diverse. Quindi si cambia».

«Anche la dottrina – ha osservato - progredisce, si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diviene più ferma, ma sempre progredendo». Il papa ha riaffermato che il suo impegno è per una chiesa sinodale, una qualità che la chiesa cattolica aveva perso, ma che era rimasta ben viva nella tradizione delle chiese d’oriente. Dunque la sinodalità che il papa sta provando a ricostruire nella Chiesa di Roma come metodo di discussione e di decisione, ha un forte valore ecumenico (per altro le chiese riformate sono anch’esse ‘sinodali’). In questa prospettiva, metodo nuovo e chiesa ‘ospedale da campo’ in cui non si chiedono le credenziali a nessuno per entrarvi, coincidono, sono parte di uno stesso discorso.

Sulla questione omosessualità, il papa conversando con i gesuiti portoghesi, si è spinto per la verità un po’ oltre, spiegando che oggi c’è una sensibilità particolare sul tema e precisando: «quello che a me non piace affatto, in generale, è che si guardi al cosiddetto "peccato della carne” con la lente d’ingrandimento, così come si è fatto per tanto tempo a proposito del sesto comandamento. Se sfruttavi gli operai, se mentivi o imbrogliavi, non contava, e invece erano rilevanti i peccati sotto la cintola». E qui ai tradizionalisti di tutto il mondo hanno fischiato le orecchie.

Dalla pace agli zar

Tuttavia, a questa impostazione così evidentemente bergogliana nei toni e nei contenuti, va aggiunto il colloquio con i giovani cattolici russi che assumeva un proprio peso specifico in ragione del conflitto in corso in Ucraina.

Nel discorso ufficiale, diffuso dai media vaticani, il papa ha affermato: «Auguro a voi, giovani russi, la vocazione di essere artigiani di pace in mezzo a tanti conflitti, in mezzo a tante polarizzazioni che ci sono da tutte le parti, che affliggono il nostro mondo». E fin qua il messaggio non fa una piega.  Ma, poi, concludendo il collegamento ha aggiunto: «Non dimenticate mai le vostre radici. Siete gli eredi della grande Russia: la grande Russia dei santi, ei re, della grande Russia di Pietro I, Caterina II, quell’impero grande, colto, di grande cultura e grande umanità. Non rinunciate mai a questa eredità. Voi siete gli eredi della grande Madre Russia, andate avanti».

Parole obiettivamente stonate, che non a caso venivano omesse dai media della Santa Sede, in un contesto tanto delicato, pure dal punto di vista diplomatico. In effetti, strumentalmente, proprio a quell’impero, allo zarismo come forma di governo, si ricollega spesso la retorica stantìa di Putin e del regime, mentre magari si consuma un regolamento di conti interno con le milizie private stile Wagner. Senza contare che proprio a Mosca, il patriarca Kirill si è distinto per essere il leader mondiale dell’ “indietrismo” cristiano, assumendo come bandiera della guerra in Ucraina la lotta contro la decadenza dei costumi occidentali di cui gli omosessuali e le leggi approvate in vari paesi europei per tutelarne i diritti, sono un simbolo privilegiato, indicato dal patriarcato ortodosso per giustificare l’apocalittico conflitto finale che sarebbe in corso fra occidente e oriente.

Il Congresso e la Duma

Fino a non molto tempo fa, questa impostazione aveva una corrispondenza negli Stati Uniti di Donald Trump, leader contro cui papa Francesco si è battuto strenuamente e con coraggio. Ora però sembra che una realpolitik ecumenica, il timore di perdere del tutto la Russia nella crisi in corso, impedisca alla Santa Sede di adottare lo stesso metro di giudizio.

Giova ricordare, allora, come nello straordinario discorso che il papa fece al Congresso degli Stati Uniti nel 2015, nel suo personale pantheon dei grandi americani inserì il presidente che abolì la schiavitù Abraham Lincoln; l’attivista di sinistra poi convertitasi al cattolicesimo senza rinnegare le sue idee di giustizia sociale, Dorothy Day; il monaco pacifista oppositore della guerra in Vietnam Thomas Merton e il leader dei diritti civili Martin Luther King. Quasi un ritratto dell’‘altra America’.

Chissà se Francesco avrà mai modo di parlare alla Duma russa, nel frattempo però oltre agli imperatori del passato, sarebbe interessante se proponesse come modello ai giovani anche chi si è battuto per la libertà a Mosca e dintorni, come per esempio Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa nel 2006 che aveva denunciato le violazioni dei diritti umani durante la guerra in Cecenia e la progressiva trasformazione della Russia in un’autocrazia in cui venivano negati fondamentali diritti civili.  

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