L’America contro Re Trump: perché la piazza non fa paura

Cosa resterà dei milioni di persone che hanno sfilato lo scorso fine settimana nelle strade americane sotto lo slogan No Kings, in molti casi esprimendo il proprio sdegno verso Donald Trump sotto le sembianze di animali gonfiabili? È la domanda che rimane sospesa quando le piazze si svuotano e la sensazione di aver toccato qualcosa di profondo nell’animo del popolo convive con la consapevolezza che basta un video fatto con l’IA rilanciato dal presidente per mettere la mobilitazione in secondo piano. “Nessun re” non è soltanto uno slogan: è un modo per dire che qualcosa si è rotto nella percezione del potere, che la presidenza di Trump non appare più come un’istituzione, ma come una monarchia personale che vive di fedeltà, insulti e spettacolo. Il pentagono mette il bavaglio alla stampa, rivolta dei cronisti contro la Casa Bianca Cortocircuito americano La protesta più imponente degli ultimi anni, un seguito di quella lanciata nel giugno scorso, ha dato modo a Trump di spingersi ancora un passo oltre ogni limite simbolico. Il video in cui lui, incoronato “King Trump”, vola su un jet e scarica letame sui manifestanti, è un cortocircuito che inquadra l’America del presente. È una scena di follia o la mossa di un genio comunicativo? Forse entrambe. Perché nella politica trumpiana il delirio non è errore ma strategia, e lo scopo è consolidare la fedeltà del suo popolo. No Kings nasce dall’impulso elementare di difendere la democrazia dalla sua degenerazione autoritaria. È un movimento spontaneo, trasversale, affollato e fragile. Il composito mosaico della società civile che si è riversato nelle strade del paese è accomunato dalla sensazione che il sistema di pesi e contrappesi americani non stia più funzionando, che il potere presidenziale sia diventato un culto della personalità, che tutte le istituzioni siano piegate al servizio del suo capriccioso volere. No Kings è un richiamo diretto alla genesi della repubblica americana, all’articolo non scritto che regge tutto – qui non ci sono monarchi – ma la debolezza è speculare. Senza un’organizzazione, senza una leadership riconosciuta, la protesta rischia di restare un grande gesto morale. I manifestanti parlano di oltre duemilaseicento eventi in cinquanta stati, ma dietro i numeri resta un vuoto strutturale. Eppure c’è qualcosa di inedito in questa mobilitazione. Non è solo l’ennesima marcia progressista, ma il tentativo di costruire un “noi” post-partitico, per un popolo che non si fida più né dei democratici, incapaci di opporre una visione, né ovviamente dei repubblicani, prigionieri dell’idolatria trumpiana. «Se perdiamo slancio, perdiamo la battaglia», ha detto una delle organizzatrici. È una frase che suona come un avvertimento e una profezia: la storia americana è piena di movimenti nati per indignazione e morti per stanchezza. Le labbra, le barbe, le foto: così le vuole Re Donald Delirio calcolato Il video con l’intelligenza artificiale, accoppiato ai trollaggi del vicepresidente, JD Vance, è la fusione tra potere e immaginario che contraddistingue la fase che gli Stati Uniti stanno attraversando. Trump si mette in scena come monarca e buffone insieme, sovrano e troll, incarnando un’idea di autorità che si fonda non sulla dignità ma sulla derisione. È il re del popolo che ride mentre il mondo lo giudica, un leader egoriferito che non chiede rispetto ma pretende attenzione. Il gesto è coerente con la forma comunicativa della Casa Bianca, dove la portavoce ha risposto così a chi chiedeva chi ha scelto Budapest come possibile location dell’incontro fra Trump e Putin: «Tua madre». Il registro a spostare la discussione sul suo terreno – quello del linguaggio visivo, iperbolico, emotivo – dove la critica politica perde di efficacia. I manifestanti dicono “nessun re”, e lui risponde: eccomi, guardate il vostro re. Dietro questo gioco, però, c’è una verità più amara. Trump sa che la sua forza sta nel far apparire la democrazia come teatro e non come istituzione. Ogni volta che viola un codice – un discorso, un limite, un residuo di decoro – costringe gli altri a inseguirlo, a reagire secondo le sue regole. Il movimento No Kings nasce proprio come risposta a questa torsione del linguaggio politico, vuole restituire serietà alla democrazia, normalità al potere, limiti al leader. Ma per farlo dovrà costruire un racconto alternativo, non solo indignato ma positivo, capace di dire che cosa viene dopo il re. Dopo Gaza, l’Ucraina: Trump cerca un altro trionfo Il grande reality È lì che si gioca la partita. Se il movimento saprà trasformarsi in una forza civile duratura, allora la protesta di ottobre sarà ricordata come l’inizio di qualcosa. Se invece si limiterà a gridare contro il trono, rischia di rimanere un frammento nel grande reality americano che Trump dirige con mano ferma e sorriso feroce. Cosa resterà, dunque, dei milioni di persone che hanno sfilato? Forse un’eco, forse un germe. In ogni caso, un segnale. Anche in un paese dove il potere ama travestirsi da spettacolo, c’è ancora chi scende in strada per ricordare che la democrazia non ha bisogno di re, ma di cittadini. Se necessario sotto le sembianze di animali gonfiabili.