Una foto eloquente arriva dalla Cambogia. Si vedono il ministro della Difesa di Phnom Penh e l’ambasciatore cinese in quel paese fare il bagno nel mare davanti alla base militare di Ream. Lo stesso filone scenografico usato per la nuotata leggendaria del presidente Mao nel Fiume azzurro a luglio 1966, inizio della Rivoluzione culturale, accompagnato allora da cinquemila nuotatori, dal suo grande ritratto galleggiante, con l’augurio di diecimila anni di vita.

Oltre alla foto, per festeggiare ufficialmente l’inizio dei lavori di ampliamento e modernizzazione di Ream, ci sono parole allarmanti: «La Cina e la Cambogia sono diventati fratelli inseparabili, con poche  parole ma generosi nei fatti, che si comportano con sincerità e che stanno fianco a fianco nei momenti difficili».

Quando c’era Pol Pot

Anche a distanza di oltre quaranta anni la Cina resta il paese che ha protetto il regime sanguinario e paranoico di Pol Pot, fornendo l’unico collegamento aereo con il resto del mondo durante quell’isolamento internazionale di 45 mesi e sostenendolo più di altri dentro le Nazioni unite dopo il crollo e la fuga nella giungla sul confine thailandese.

La spiegazione era che i khmer rossi, nonostante i massacri compiuti, erano sempre i legittimi rappresentanti del loro paese, mentre chi li aveva rovesciati era solo un gruppo di oppositori sostenuti dall’esercito vietnamita, i prussiani dell’Indocina. Questo rigore formale di Pechino però non vale oggi, davanti alla invasione russa dell’Ucraina.

Ream è a pochi chilometri da Sihanoukville, il porto principale del paese. Lì sul molo, ancora mesi dopo la caduta di Pol Pot, si potevano vedere le casse con i siluri forniti e abbandonati dai protettori cinesi. E oggi questo approdo si aggiunge alla costellazione cinese di basi navali, aeroporti e installazioni militari che si allargano progressivamente dal Mar cinese meridionale nella più vasta zona dell’Indo-Pacifico.

Una colonizzazione veloce

Ma per la piccola, fragile Cambogia, ancora una volta espressioni come «fratelli inseparabili, generosità, sincerità» hanno il suono vuoto della retorica. L’edificio dedicato all’amicizia tra Vietnam e Cambogia, che si trovava proprio dentro la base, è stato trasferito all’esterno, per la incompatibilità tra cinesi e vietnamiti. Anche due strutture realizzate a suo tempo dagli americani sono state eliminate, per “bonificare” politicamente la zona.

La Cina ha colonizzato il paese velocemente e capillarmente, con i ristoranti, i casinò, i bordelli, gli investimenti immobiliari, e gli espropri fraudolenti dei terreni agricoli. Questa penetrazione è stata favorita dalla etnia cinese locale, ma soprattutto dai quasi quaranta anni di permanenza al potere del primo ministro Hun Sen. Khmer rosso della prima ora, poi avversario aiutato dai vietnamiti, sbucato un giorno dalla giungla rivestito come un profugo, arrivato a Phnom Penh ormai svuotata mentre ancora i biglietti di banca erano sparsi per le strade e al mercato sopravviveva il baratto. Per Pechino rappresenta da tempo l’interlocutore ideale, solidamente corrotto, come lo sono da sempre anche i generali birmani.

La base navale non ha ancora i fondali abbastanza profondi per accogliere grandi scafi, e non è confermato che i cinesi lì dentro godano di una zona esclusiva, però hanno già fornito motovedette, divise per rivestire quarantamila marinai, addestramento tecnico e lezioni sul diritto marittimo.

La Cina ormai da tempo interpreta queste leggi in modo spregiudicato, trasformando minuscoli lembi di terra contesa, che magari scompaiono con l’alta marea, in isole più grandi dove ospitare la bandiera rossa, una pista di atterraggio, o un porto, per poi proteggerlo con missili e cannoni, inviando flottiglie di pescherecci scortati da guardiacoste armati dentro le acque di altri paesi. A un centinaio di chilometri da Ream, sempre sul mare, c’è anche Dara Sakor, un’area turistica–commerciale concessa ai cinesi per 99 anni che da sola occupa un quinto della intera costa della Cambogia. Ci sarà un aeroporto internazionale, un grande porto, una zona economica speciale, come è già avvenuto anni fa in Cina a Shenzen dove gli abitanti, travolti da improvviso benessere, entravano in banca con i soldi da versare e il pesce ancora gocciolante in borsa.

Si sprecano le promesse pubblicitarie sulla città intelligente e sui futuri tre milioni di abitanti di questa zona. Ancora una volta uno sfruttamento intensivo, spesso selvaggio, deciso al di fuori del paese. Come era avvenuto durante la colonizzazione francese della intera Indocina. Che era stata anche l’incubatrice ideologica di Pol Pot e dei suoi associati, e delle rispettive compagne, tutti passati attraverso le aule della Sorbona in Francia.

Un paese fragile

La Cambogia non ha mai conquistato la sua indipendenza. Quando Sihanouk governava e accoglieva in visita il generale de Gaulle lo guardava letteralmente dal basso in alto, non era solo questione di due stature molto diverse. E sempre Sihanouk ha dovuto tenere un atteggiamento simile con i cinesi.

Una volta lo incontrai nella sua residenza a Pechino, a Fan Di Lu 15, dopo la rivolta di piazza Tienanmen. Diceva che era ospite dei cinesi. Gli obiettai che in realtà era prigioniero, che non poteva uscire da quel portone rosso senza il loro permesso. Che anche dopo Tienanmen lo avevano invitato a un incontro che si era rivelato un tranello, per esibirlo in televisione dopo quei giorni violenti come un sostenitore del regime. L’incontro durò circa tre ore, con momenti aspri, lui non toccò un bicchiere né una tartina. Il giorno dopo mi telefonò per dire che trasferiva la sua residenza ufficiale sul confine tra Thailandia e Cambogia, nella zona dei profughi. Sul lato opposto a quello occupato da Hun Sen.

Ho sempre pensato che il suo sorriso, e i racconti sulla sua mondanità o frivolezza, fossero solo una maschera per nascondere la fragilità, la debolezza del suo paese. Dove per conservare il potere era inevitabile piegarsi ai progetti del protettore straniero di turno: francese, giapponese per un breve periodo, americano, cinese. E anche i fasti di Angkor e di quei templi, richiamati nella bandiera nazionale, in realtà sono celebrati perché un esploratore francese, Henry Mouhot, li riscoprì ormai completamente nascosti dalla giungla due secoli fa. Assistito tra l’altro nella sua impresa dalla Reale società geografica britannica.

In nome dell’amicizia

Oggi la Cina aspira a diventare una grande potenza navale. E per le sue rotte gli serve una base anche in acque cambogiane. Gli americani hanno avuto nelle Filippine, a Subic Bay, la più grande base navale fuori dal territorio americano. Poi Cam Ranh, in Vietnam, è stata usata dai russi subentrati agli americani sconfitti. E solo pochi giorni prima della nuotata tra cambogiani e cinesi a Ream il ministro degli Esteri cinese era nelle isole Salomon, per incontrare i rappresentanti di altri sette minuscoli stati insulari del Pacifico, i cui nomi non sono particolarmente diffusi: Timor orientale, Papua Nuova Guinea, Kiribati, Vanuatu, Fiji, Tonga, Samoa.

Una parte degli accordi firmati sono segreti. Come è segreta una parte dell’accordo con i cambogiani. Certo le isole Salomon, che hanno rinnegato Taiwan per passare con Pechino, hanno una intesa quasi di sottomissione. In caso di contestazioni sociali pesanti la Cina potrà inviare i suoi uomini in divisa per tutelare i suoi interessi.  E il capo del governo locale potrà usare l’esercito cinese come una sua milizia privata, come ingaggiare i mercenari della organizzazione russa Wagner.

Nella capitale delle Fiji è stata costruita dai cinesi una torre che doveva essere la più alta di tutto il Pacifico meridionale fino a quando non è stata bloccata dalle autorità locali per motivi di sicurezza. È una fissazione cinese questo primato degli edifici più alti. Per un certo periodo la Bank of China vantava la sede di Hong Kong come l’edificio più alto di tutta l’Asia. E anche la torre incompleta era stata presentata come “simbolo di amicizia”. Un’altra fissazione che mezzo secolo fa si arrampicava fino sul confine tra Nepal e Cina con il Ponte dell’amicizia, anche se la strada era franata per chilometri sui due lati.

Come l’amicizia imperfetta tra la grande, potente Cina e la piccola Cambogia, feudo dell’autocrate Hun Sen, dove in parlamento tutti sono membri del suo partito. Pechino ha appena varato la sua terza portaerei, i marinai cambogiani vestiranno divise made in China. Sulla scia tracciata da Mao, nuotatore e Grande timoniere.

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