È la svolta diplomatica, attesa invano da mesi, quella che potrebbe finalmente cambiare il corso della guerra tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza dopo 27mila morti. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di mettere da parte le divergenze con Washington e di ringraziare pubblicamente il presidente americano Joe Biden, che sta mettendo a rischio la sua rielezione il prossimo novembre per difendere Israele in un momento molto difficile della sua storia.

«Apprezziamo profondamente il sostegno che abbiamo ricevuto dall’amministrazione Biden dallo scoppio della guerra», ha detto il premier israeliano, parlando nel corso di un Consiglio dei ministri a Tel Aviv, in una indiretta risposta alle bellicose e incendiarie dichiarazioni del ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, l’uomo che in un’intervista al Wall Street Journal aveva affermato come per Israele sarebbe andata meglio se ci fosse stata una seconda amministrazione Trump. Una frase che ha creato scompiglio alla Casa Bianca.

Il senso delle sue parole

Così il premier Netanyahu ha deciso di intervenire senza indugio per bloccare sul nascere una crisi politica che avrebbe potuto danneggiare il suo governo fino alla dissoluzione: nell’esprimere apprezzamento per il sostegno dell’amministrazione Usa, guidata da Biden, il premier israeliano ha elencato le spedizioni di armi e i finanziamenti, il sostegno all’Onu e il dispiegamento di forze statunitensi nella regione. Netanyahu non ha nascosto le divergenze passate: «Questo non vuol dire che con gli Usa non possano esserci divergenze di opinioni. Ma le abbiamo superate con decisioni ponderate e determinate». Netanyahu ha poi detto «di non aver bisogno di nessuno» nel gestire i rapporti con gli Usa nel contesto «della difesa degli interessi di sicurezza di Israele». Chiaro riferimento al fatto che il premier vuole mantenere i rapporti diretti senza intermediari con la Casa Bianca dopo il silenzio di qualche giorno, segnalato dai media americani in seguito a una telefonata non proprio amichevole con il presidente Biden.

Netanyahu ha poi preso in esame la questione degli ostaggi ancora in mano ad Hamas. «I nostri sforzi per liberare gli ostaggi procedono ma non accetteremo ogni accordo né ad ogni prezzo. Molte cose che sono state dette nei media come se le avessimo accettate, ad esempio la liberazione dei terroristi, non sono veritiere». Netanyahu ha poi confermato il mantra della sua linea della fermezza secondo cui Israele non metterà fine alla guerra fino «all’eliminazione di Hamas, il ritorno di tutti gli ostaggi e finché Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele». Una linea che però si scontra con le richieste dell’amministrazione americana, desiderosa di raggiungere un accordo in cambio di una tregua nella Striscia, per evitare che il conflitto dilaghi come un incendio in tutta la regione. Almeno due bambini sono stati uccisi in un attacco israeliano nella città di Rafah, secondo il ministero della Sanità della Striscia citato dall'agenzia Wafa.

Blinken in Medio Oriente

Intanto prosegue la “shuttle diplomacy” di Antony Blinken. Il segretario di Stato americano è atteso in Medio Oriente per negoziati su una nuova tregua tra Israele e Hamas. Blinken effettuerà tappe in Qatar, Egitto, Israele, Cisgiordania e Arabia Saudita. Le trattative proseguono per raggiungere una seconda tregua, dopo quella che ha consentito a fine novembre il rilascio di un centinaio di ostaggi detenuti a Gaza in cambio dei palestinesi detenuti da Israele. Secondo Tel Aviv, 250 persone sono state sequestrate e trasferite a Gaza il 7 ottobre, e 132 ostaggi sono ancora nei tunnel. Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, con sede in Qatar, è atteso al Cairo per discutere un accordo elaborato da esponenti del Qatar, americani ed egiziani. Il piano si articola con una tregua di sei settimane con il rilascio di 200-300 palestinesi detenuti in Israele in cambio di 35-40 ostaggi, secondo una fonte di Hamas. Secondo il Wall Street Journal ci sarebbe una divisione interna tra la dirigenza di Hamas con sede all’estero, più intransigente, e quella a Gaza che vorrebbe invece accettare la tregua per far cessare i bombardamenti.

Lo sputo contro i cristiani

Infine va segnalato che il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha condannato «fermamente i brutti atti contro membri di altre religioni». «Ancora una volta – ha denunciato – un brutto episodio di sputi contro i chierici cristiani a Gerusalemme». Un segnale di intolleranza che sta radicalizzando la vita a Gerusalemme. «Condanno l’atto di volgare intolleranza subito a Gerusalemme dall’abate benedettino Schnabel cui va la nostra solidarietà. Roma ritiene opportuno il rispetto della convivenza tra popoli e religioni in Terra Santa». È il commento su X del ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, all’aggressione verbale subita dal religioso cattolico da parte di due ebrei israeliani nella Città Vecchia che lo hanno insultato e sputato addosso.

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