Non è la prima crisi che la monarchia inglese ha affrontato e, siamone certi, non sarà l’ultima. L’intervista rilasciata dalla coppia ex reale Meghan Markle e Harry Windsor a Oprah Winfrey domenica scorsa è soltanto l’ultimo episodio in ordine di tempo. Un periodo questo, a dir la verità, non particolarmente tranquillo per la monarchia inglese che non solo ha visto crescere le tensioni nell’opinione pubblica dopo il ritiro dal ruolo pubblico della coppia, ma soprattutto per il coinvolgimento nell’inchiesta nei confronti dell’uomo d’affari Jeffrey Epstein del principe Andrew, in cui è accusato di abusi sessuali. Anche in quel caso al centro vi fu una intervista rilasciata da Andrew alla Bbc per tentare di indirizzare la narrazione e sminuire la gravità delle accuse; e anche in quel caso fu un disastro totale per l’immagine della famiglia reale.

La tentazione del suicidio

In oltre due ore di intervista andata in onda su Cbs, Meghan e Harry incalzati da una celebrità televisiva come Oprah Winfrey, non hanno lesinato commenti e giudizi, hanno raccontato momenti di felicità, ricordato la gentilezza della regina e annunciato in mondovisione il sesso della loro secondogenita. Ma i passaggi per cui sarà ricordata questa intervista rimarranno altri: incalzata da Harry, Meghan ha confessato di aver pensato al suicidio nei momenti più difficili accusando la famiglia reale di non aver preso le sue difese quando i tabloid si accanivano contro di lei. Il razzismo, istituzionale o palese o dichiarato, è dunque il motivo principale della scelta della coppia di lasciare il Regno Unito e ha dominato l’intera intervista.

Società reale e di massa

Chi si aspettava la riproposizione dei classici temi a metà fra il gossip reale e il rotocalco è rimasto deluso. L’impatto mediatico è stato devastante e ha totalmente offuscato quella che avrebbe dovuto essere la notizia del giorno: la riapertura delle scuole dal lockdown, come ha tentato di ricordare il primo ministro Boris Johnson nella conferenza stampa nel pomeriggio di ieri. Nessuno ha potuto evitare di affrontare la notizia e, sebbene tutti noi che non leggiamo i giornali “leggeri” e non siamo interessati a queste cose possiamo essere d’accordo con Polly Toynbee che rimprovera alla sua testata, il Guardian, di dedicarvici troppo spazio, i quasi 400 commenti all’articolo che il Financial Times ha riservato alla ex coppia reale, tuttavia, raccontano qualcosa di diverso.

L’intervista di Meghan e Harry ha infatti riproposto la complessità del rapporto fra sistema politico-istituzionale e gossip o, per meglio dire, fra famiglia reale e società di massa. La storia della relazione fra il quotidiano privilegiato e illogico della monarchia inglese e la complessità della società britannica è infatti un aspetto centrale della storia del Regno Unito. Dalla triangolazione fra la regina Victoria, Lord Melbourne e il partito whig alla arcinota abdicazione di Edoardo VIII per poter sposare la divorziata Wallis Simpson, il confine fra il pettegolezzo del palazzo e trasformazioni politiche è molto labile, i concetti molto porosi e le implicazioni considerevoli. E non è completamente vero che la bulimia mediatica nei confronti delle varie royalties sia un aspetto della storia recente.

Lo testimoniano i cartoni satirici venduti nelle strade di Londra al tempo di William Cavendish e lady Georgiana Spencer o il successo, Daily Mail in testa, della stampa popolare, fra la fine dell’Ottocento e il secolo nuovo con l’affermarsi della politica di massa. Ogni paese ha un segmento dell’opinione pubblica, colorito e a volte pacchiano, dedicato a coniugare gli appetiti magico-ancestrali con una antropologia politica basata sulla costruzione del mito. La funzione degli Windsor è anche questa.

Il razzismo

L’intervista è a disposizione di tutti e se ne parlerà ancora per molto tempo. I tabloid ci camperanno per mesi. Spazzate via le controversie fra le presunte due rivali Meghan and Kate e il fraterno affetto fra Harry e William, ripulita dal disagio di sapere che Charles non solo ha “tagliato” il mantenimento al figlio ma nemmeno gli risponde al telefono, tutte cose che potevamo aspettarci, e infine liberata dalla costante zavorra del fantasma di Lady Diana, ciò che di questo momento di televisione avrà le conseguenze maggiori è il riferimento ai timori sul colore della pelle del primogenito della coppia, Archie; timori avanzati da un non (ancora) identificato membro della famiglia reale e che Meghan e Harry non hanno rivelato.

Comunque la si consideri, questa intervista e le future indiscrezioni che usciranno nei prossimi giorni resteranno legate a quel passaggio. Le tifoserie potranno rimanere a discutere per i prossimi mesi sui motivi opportunistici che hanno spinto la coppia a “esibirsi” su un palco statunitense tradendo il loro ruolo o, come già sta accadendo sui social media con l’hashtag AbolishTheMonarchy, il debole sentimento repubblicano troverà forza e l’opinione pubblica chiederà l’abolizione della monarchia. È già successo in passato, come ad esempio durante i momenti più convulsi dopo l’incidente a Lady Diana.

Da un punto di vista costituzionale, va ricordato, non ci sono implicazioni di nessuna natura. Non soltanto perché i duchi del Sussex pur mantenendo il titolo non fanno più parte della famiglia reale, ma soprattutto perché Harry e il figlio sono settimi e ottavi nella linea di successione al trono. E forse anche per questo motivo che non è ancora stato emesso un commento ufficiale da parte della “ditta”, come viene chiamata da loro stessi la famiglia reale. Chissà, magari ora, dopo l’intervista, Bersani smetterà di indicare il Pd con lo stesso sostantivo.

La monarchia non è a rischio

È altrettanto improbabile che la monarchia sia veramente a rischio. Sebbene esista un evidente gap generazionale fra chi si sente vicino alla coppia trasferitasi negli Stati Uniti e le generazioni più anziane che invece sostengono la posizione sobria della regina al riguardo, la monarchia ha dimostrato in passato di sapere riconquistare il proprio ruolo e funzione.

Tuttavia, sarebbe ingenuo ritenere che non ci saranno implicazioni sociali e culturali. È chiaro che il clamore scatenato e, da un certo punto di vista, l’intervista stessa sarebbero stati impensabili senza il successo, almeno da un punto di vista comunicativo, del movimento Black lives matter. Sebbene la spaccatura fra chi ritiene l’intervista un atto sciagurato e antipatriottico e chi invece la sbandiera come l’ennesima conferma del razzismo endemico di cui tutte le istituzioni inglesi sono impregnate non rifletta anche una separazione politica, l’intervista segna tuttavia uno spartiacque. Ora non sarà più possibile non affrontare il problema.

Nel 1944 sulla Partisan Review, George Orwell scriveva che la funzione principale della monarchia era quella di essere un argine ai despoti e alle dittature, mentre il vero privilegio da combattere era l’ingiustizia sociale rappresentata dal rigido sistema di classe.

Di quel sistema il razzismo ne è una componente fondamentale. Vedremo se la monarchia inglese saprà rispondere anche questa crisi.

 

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