Loujain al Hathloul è una saudita di 31 anni. Da oltre due è rinchiusa in un carcere di massima sicurezza del suo paese, dopo essere stata illegalmente sequestrata. A Loujain è andata meglio che a Jamal Kashoggi, rapito in un consolato saudita, ucciso e fatto a pezzi. Qual è la colpa della giovane attivista? Aver guidato un’auto. Ora è stata dichiarata un «pericolo per lo stato».

Altre sue compagne di carcere sono condannate per aver twittato o cose del genere. Tutte, Loujain in testa, rappresentano la lotta pacifica delle donne saudite per l’emancipazione, in una società rigorista e conservatrice al massimo. In Arabia le donne non sono soggetti legali a pieno titolo ma devono sempre aver con sé un tutore maschio, che sia il marito o il figlio, anche adolescente.

L’islam non c’entra: non esiste nessun paese musulmano in cui le regole siano così rigide, salvo eccezioni in altri stati del Golfo. Un atteggiamento così sfavorevole per le donne non è basato su nessun testo sacro: si tratta di una tradizione legata ai luoghi e aggravata da un’interpretazione religiosa imposta dalla scuola giuridica più rigida.

Da fine ottobre al Hathloul è in sciopero della fame: vuole poter vedere i propri familiari, cosa che finora le è stata vietata. Le autorità saudite sono subissate di messaggi, proteste e petizioni che giungono un po’ da tutte le parti perché sia rimessa in libertà, assieme alle altre donne arrestate.

L’incontro

A Riad ancora si tentenna, anche se recentemente l’ambasciatore saudita nel Regno Unito ne ha annunciato la loro liberazione prima del G20 previsto per la fine novembre. Paradossalmente il tema del vertice (virtuale) sarà sul ruolo della donna nella società e la presidenza tocca all’Arabia (da gennaio toccherà all’Italia).

La società civile internazionale e le agenzie per i diritti umani da mesi hanno chiesto ai capi di stato di boicottare la riunione se non verranno liberate tutte le donne detenute per motivi di opinione.

Che pericolo possono rappresentare pacifiche donne che desiderano guidare o andare in giro da sole? Se non avesse conseguenze drammatiche, l’atteggiamento del regime saudita sarebbe perfino ridicolo, quasi comico. La nuova Arabia moderna e aperta voluta dal principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) non esiste.

Il paese è ricco e tecnologico ma per altri versi resta oscurantista. Gli emigrati sono pesantemente maltrattati (come in tutto il Golfo), le donne non hanno alcun diritto, chi esprime pacifiche contestazioni viene fatto sparire e la società rimane ingessata.

L’alleanza coi wahabiti

Anche all’interno della famiglia reale le cose sono complicate. Si è perso il numero delle decine di cugini che Mbs ha fatto imprigionare o porre agli arresti domiciliari. Anche se adesso – novità assoluta – le donne saudite possono guidare e ottenere un passaporto, chi ha condotto quella lotta sta pagando come se si trattasse di terroriste.

È probabile che al principe ereditario tale situazione non piaccia del tutto ma che vi sia costretto dalla particolare alleanza che la famiglia reale ha stretto da sempre con i wahabiti, i rappresentanti della scuola islamica più severa.

Bella, spigliata, senza paura, colta, poliglotta, testimone delle violenze sulle donne di ogni ceto, sostenuta da una famiglia religiosa ma non bigotta, al Hathloul è stata per anni una spina nel fianco del regime. Arrestata più volte, se l’è sempre cavata riuscendo a rendere virali le sue battaglie. A un certo punto l’apparato del regime ha trovato la sua libertà troppo insolente e l’ha sepolta in un carcere duro.

Liberare al Hathloul è divenuto un rischio per le autorità, dopo le torture che le hanno inflitto, le sevizie, l’elettricità. Come l’affare Kashoggi, sarebbe un altro durissimo colpo reputazionale per Mbs.

Ma tutto questo resta inaccettabile per un paese che si vuole protagonista della geopolitica mondiale. Solo la pressione internazionale potrà fare in modo che al Hathloul e le sue amiche non siano dimenticate per sempre.

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