Nonostante le accuse occidentali di connivenza con il nemico, a ogni incontro con i leader russi Pechino annuncia un rafforzamento della sua partnership con Mosca: da “strategica”, a “onnicomprensiva”, poi “senza limiti”.

Un copione che si è ripetuto anche in conclusione della visita di due giorni del ministro degli Esteri Sergej Lavrov, a colloquio con il suo omologo Wang Yi per preparare l’arrivo di Vladimir Putin, che il mese prossimo vedrà Xi Jinping per la quarantatreesima volta in 12 anni. Da ieri, parola di Wang, la quasi-alleanza tra Cina e Russia è «al livello più alto della storia».

«Nell’ambito della presidenza russa dei Brics e di quella cinese della Shanghai Cooperation Organization a partire dalla seconda metà dell’anno, ci forniremo un forte sostegno reciproco e aumenteremo la nostra interazione multilaterale», ha dichiarato Wang.

«Continueremo a rafforzare la nostra cooperazione strategica sulla scena mondiale», ha aggiunto il ministro degli esteri cinese. Secondo Lavrov - che nel pomeriggio è stato ricevuto da Xi - andrebbe intensificata anche la collaborazione militare: Putin suggerisce di puntare su una struttura di sicurezza euroasiatica alternativa alla Nato e, a tal fine, di «avviare un dialogo con il coinvolgimento di altri popoli che la pensano allo stesso modo su questo tema».

«No al piano Zelensky»

Pechino però è contraria alle alleanze militari, così ieri Wang si è limitato ad ammonire Washington sul ruolo dell’Alleanza atlantica, che secondo il capo della diplomazia cinese «non deve estendere le sua attività né promuovere conflitti nel Pacifico».

Stretto coordinamento anche sull’Ucraina, nel tentativo di arrivare a una soluzione che - in base alla proposta in 12 punti di Pechino - dovrebbe tutelare «gli interessi legittimi e le preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti».

Wang e Lavrov (secondo il resoconto di Mosca) si sono detti d’accordo che «qualsiasi meeting internazionale che ignori la posizione della Russia e promuova la cosiddetta formula di pace» del presidente ucraino Volodymyr Zelensky sarebbe «fuori dalla realtà e inutile».

Intanto la Cina deve difendersi dall’ennesima bordata di rivelazioni secondo cui avrebbe fornito componenti per armamenti e immagini satellitari all’armata russa.

«Abbiamo sempre controllato secondo la legge le esportazioni di prodotti a doppio impiego» (civile-militare). Così la portavoce del ministero degli esteri, Mao Ning, ha ribadito la posizione di Pechino dopo che - con la telefonata Xi-Biden della scorsa settimana e durante la visita di Janet Yellen che si è conclusa ieri a Pechino - Washington ha aumentato la pressione nel tentativo di ridurre il sostegno della Cina alla Russia, ovvero quell’interscambio che l’anno scorso ha toccato i 240,1 miliardi di dollari (+26,3 per cento rispetto al 2022) e che contribuisce a tenere in piedi l’economia russa.

Per questo la segretaria al tesoro è arrivata a minacciare sanzioni «specialmente contro istituzioni finanziarie» cinesi, in caso di «appoggio materiale alla guerra della Russia contro l’Ucraina.

Spirale inarrestabile

Dopo Yellen e Lavrov, a Pechino dovrebbe arrivare il segretario di stato, Antony Blinken. Secondo Cui Heng, «ciò dimostra la complessità delle interazioni tra Cina, Russia e Stati Uniti e che, nelle relazioni trilaterali, la Cina è guidata dai propri interessi nazionali».

«Manteniamo la massima flessibilità, mentre gli Stati Uniti e la Russia hanno uno spazio molto limitato per superare lo stallo e l’ostilità nelle loro relazioni» ha sostenuto lo studioso del China National Institute for SCO International Exchange and Judicial Cooperation.

Eppure la guerra commerciale, l’embargo hi-tech e le iniziative Usa nel Pacifico spingono sempre più vicine Pechino e Mosca. Nelle ultime ore il generale Charles Flynn ha annunciato il dispiegamento nella regione entro la fine dell’anno di un nuovo sistema missilistico in grado di lanciare vettori di precisione a medio e lungo raggio SM-6 e razzi anti-nave Tomahawk.

E oggi a Washington - in un vertice tra Stati Uniti, Filippine e Giappone - potrebbe essere discussa la partecipazione del Giappone al trattato per la sicurezza Aukus (Australia, Regno Unito, Stati Uniti), sottoscritto il 15 settembre 2021 per contrastare l’influenza della Cina nell’Indo-Pacifico.

Pechino si è detta “gravemente preoccupata” per una mossa che «ignora il rischio di proliferazione nucleare» e che «intensificherebbe la corsa agli armamenti nella regione dell’Indo-Pacifico e sconvolgerebbe la pace e la stabilità regionale».

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